Recensione: Nucleus

Di Andrea Poletti - 15 Febbraio 2016 - 0:06
Nucleus
Band: Witchcraft
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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71

La musica è un viaggio inaspettato, una sorpresa costante o una costante rincorsa verso una visione nata dalle ceneri del trascorso umano. Esistono album che non han bisogno di essere commentati, altri che si spiegano da soli, altri ancora che diventano un giusto pretesto per discutere di come in alcuni casi una band rimanga fedele a se stessa pur non stupendo più di tanto. Coerenza e dedizione sono sempre da lodare. I Witchcraft fanno parte di quella schiera di band che pare non abbiano ancora smesso di dire tutto quello che il destino gli ha riservato, Nucleus non è solamente il nuovo nato in casa, ma molto di più a dispetto delle apparenze. Solo, abbandonato se stesso, Magnus Pelander ha dovuto stravolgere la sua creatura dopo un terremoto in line-up come raramente è stato riscontrato in passato. Ora la formazione a tre prevede oltre al frontman, Tobias Anger al basso e Rage Wiedeberg alla batteria; persone che mai prima di oggi avrebbe mai pensato di incontrarsi sulla propria strada con molta probabilità, ma come entità fine a se stessa i Witchcraft sono più importanti e creare musica è un’arte che va oltre le difficoltà che il destino ti sbatte in faccia. Solo i deboli rimangono indietro a visualizzare le sconfitte e le perdite, i forti intraprendono un viaggio che li innalzerà sempre e comunque durante la loro intera vita, accompagnati da seguaci, condottieri, fratelli o anche solo mestieranti uniti gli uni con gli altri per il fine ultimo: essere i migliori o almeno non essere dimenticati. 

Nucleus arriva dopo una rivoluzione come detto, una epocale trasfigurazione della band che avrebbe dovuto sovvertire le sorti di questa e modellare radicalmente i suoni e le strutture compositive in seno al mastodonte; a tratti è così ma se la mente del “capo” funziona ancora alla perfezione, il marchio di qualità rimane invidiabilmente sugli scudi. Una visione, un’avventura e un viaggio come gli altri, ma sempre differente e singolare come unicità. Pronti per salpare?

Già dalla cover si potrebbe rimanere un po’ spiazzati, una tonalità avorio con un indecifrabile forma geometrica dai colori dell’arcobaleno potrebbe lasciare spiazzati e dubbiosi; peccato che non sia così, per fortuna non è così. All’apparenza questo nuovo capitolo non risulta portare moltissime novità alla ben conosciuta discografia dei nostri Svedesi, ma qualcosa è cambiato, c’è un ritorno alle origini, una volontà non troppo nascosta di voler riagganciarsi a quelle sonorità, tipiche della scuola Black Sabbath e Pentagram, che tanto han fatto per forgiare il primordiale sound della band. Legend era, ed è ancora oggi, un ottimo platter che ha avuto il merito di accendere i fari dell’attenzione verso di loro, ampliando esponenzialmente lo spettro visivo/compositivo; un album che suona leggermente più stoner rock rispetto ad oggi dove l’inversione di rotta compositiva è palese. Canzoni come il trittico iniziale Malstroem, Theory of Consequence e The Outcast sono un mare di onde altissime che ti inghiotte sino al cessare del respiro, prima di catapultarti dentro la Titletrack da quasi quindici minuti di psichedelico stoner doom retro-avanguardista. Una cavalcata ai limiti della mente umana, che se ascoltata con i fattori ambientali adeguati, riesce a regalare punte emotive di inafferrabile spessore; a metà canzone con il bridge simil-wester-soundtrack si chiudono gli occhi, gli orizzonti non hanno più confini e tu diventi parte del cielo mentre il vento ti accarezza. Exocirsm of Doubts è maniacale, lenta, soffocante, una discesa negli abissi della mente dove il cantanto di Magnus è da brividi; si può ascoltare decine e decine di volte rimanendo ammutoliti dentro una spirale di vorticose ambientazioni surreali, che come funghi allucinogeni si arrampicano lungo i tuoi arti: Escher plasmato a note musicali. Unico consiglio da aggiungere: da ascoltare rigorosamente con le orecchie in modalità anni settanta. Le successive The Obsessed e To Trascend Bittereness sono due brevi tracce che servono da antipasto, insieme a Helpless, per la navigazione finale degli spazi lontani, quella Breakdown che apre le luci e sorprende l’ascoltatore. Bastano i primi sei minuti, sino al riffone ciccione distorto per immergersi in una clessidra dove il tempo cade come granelli di sabbia e le lancette tornano indietro, quasi a ricordarci che non v’è via di scampo. La seconda parte della suite è composta da un riff monocorde che come un mantra ci accompagna verso la fine, verso la porta d’uscita dove forse troveremo salvezza. L’idea che sale alla mente è quella di avere tre grandi tracce (le due suite e Exorcism of Doubts) contornate da altri brani “standard” dove la band crea il compitino, lasciando le migliori idee solamente per ciò che realmente verrà ricordato negli anni su questo quinto capitolo. Che sia questione di amalgama tra le parti e i nostri tre condottieri abbiano necessità ancora di trovale la perfetta alchimia? Può darsi ma su ipotesi non costruiamo nulla di nulla.

Negli anni abbiamo avuto molte valide realtà nel settore tra cui Orchid, Blood Ceremony, Jex Thoth e Uncle Acid and the Deadbeats con uscite di forte spessore che han lasciato gli amanti quasi senza parole in certi momenti. Ensamble validi come i Witchcraft che non inventano nulla, non modellano nulla, non rivoluzionavano nulla, ma che a conti fatti rilasciano opere di eccellente valore tecnico sperimentale, andando a toccare corde della psiche più uniche che rare. Dei chiropratici delle menti contaminate ed influenzabili. Se avete voglia e/o necessità di esplorare parti del vostro corpo che dimenticate in un angolo perdendone sensibilità, se invece non avete voglia di far utilizzo di droghe sintetiche ma viaggiare è il vostro sogno proibito, se il mondo fuori è troppo stretto e vi soffoca, Nucleus è un ottimo rimedio agli stati d’ansia; un biglietto di sola andata a costo zero, dove voi siete gli unici passeggeri, buon viaggio.

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