Recensione: Old Black

Di Daniele Balestrieri - 7 Maggio 2004 - 0:00
Old Black
Band: Negator
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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75

Formatisi nel cuore della Germania settentrionale all’inizio del 2003, i Negator vedono agli strumenti alcune personalità ben conosciute nell’ambiente estremo. Anche semplicemente dai nomi scelti (Nachtgarm alle voci, Trolfbert alla chitarra, Berthelm al basso e Tramheim alla batteria) si distingue chiaramente l’intento di questa band: omaggiare quanto più genuinamente possibile tutto ciò che è stato il Black Metal storico dei gloriosi tempi degli Immortal, degli Emperor, dei Mayhem e dei Satyricon. Un compito sicuramente nobile, che probabilmente farà pensare a molti “eccone altri”. Certo non si può dire che siano i primi a fondare una band con questo scopo; molti musicisti di tutto il mondo, dall’Argentina al Giappone, dal Canada all’Australia, si sono inchinati di fronte a quel black norvegese che ha ispirato migliaia di musicisti che ne hanno cercato di riprendere le uniche, gelide, oscure e drammatiche atmosfere. Composto in poco meno di 6 mesi, Old Black è proprio un lavoro destinato a questo tipo di mercato. Rispetto alle tante band che, pur non appartenendo direttamente al genere, si sono gettate nella composizione di “true black”, però, i Negator risplendono particolarmente proprio nel non esserci pienamente riusciti. L’album è realizzato troppo “bene” per sembrare “vecchio black”. Con una tecnica non indifferente dalla loro, con un’inventiva molto tedesca e con un songwriting non indifferente, i Negator si sono gettati in un turbine di ottime chitarre dal distinto sound black, coadiuvate dalla classica batteria martellante dei grandi maestri death e soprattutto sopraffatte dallo scream vertiginoso, limpido ed esperto di Nachtgarm, di una violenza così precisa da riuscire addirittura a percepire le parole che compongono le strofe, una cosa che nel vecchio black spesso era pura utopia. Particolarmente degna di nota è la prima parte dell’album, con una ottima “Science of Nihil” che presenta delle battute d’arresto in pieno stile Dark Funeral e un’ottima struttura melodica, e eccellente è anche “Der Infanterist“, la canzone che forse più di ogni altra tradisce le discendenze germaniche della band, tra melodie rocciose e violentissime e una lunga sirena da contraerea a spezzare il flow di tanta ferocia . Ottima anche “In the Unholy Halls of Eternal Frost“, un titolo di chiaro stampo Immortaliano, in cui fa gran mostra di sé un urlo continuo, spietato, che sembra uscito dagli Emperor dei tempi d’oro, e un duetto scream-growl anch’esso di ottima scuola Emperor, il tutto affogato naturalmente nel sempiterno turbinio di batteria e di chitarre ai limiti dell’umano. Il tutto potrebbe sembrare un unico, sintetico omaggio di 38 minuti al puro black norvegese, se non fosse che anche i Negator hanno ceduto a una mossa molto Enslaved, ovvero un intermezzo (“Interludium“, appunto) in chitarra pulita molto distorta, lento e cadenzato, di un piacevole retrogusto quasi Viking e appunto, che ricorda molto gli Enslaved di Frost o i Bathory di Under the Sign, altri due eccellenti maestri di black scandinavo. Insomma da dire c’è molto poco: chi conosce il black senza compromessi, chi ha idea di chi siano Satyricon, Mayhem, Dark Funeral, Bathory, Enslaved, Emperor, Immortal e tutta la granitica vecchia scuola black sa esattamente a cosa sta andando incontro…
…più o meno.
I cultori più intransigenti infatti non potranno non storcere il naso di fronte a quest’album. Proprio il vederlo come un reduce moderno del vecchio black fa sì che questo Old Black fallisca in parte. La produzione purtroppo è di una purezza non indifferente, i suoni sono perfetti, la registrazione è cristallina, le melodie sono limpide e definite, batteria e chitarre sono pulite e la voce è molto professionale. Insomma è un lavoro che manca del “grezzume” di base che rende tanto emozionanti gli Emperor, o gli Ulver, o i Satyricon. Chi dice che il true old black ha bisogno di registrazione non esattamente cristallina ha ragione, se è davvero quello il punto d’arrivo. È davvero tutto troppo perfetto in Old Black, e manca quella passione e sincerità che aveva il black dei primissimi anni novanta. E se il loro intento era omaggiare solamente il primissimo black, il black del primo album di Bathory per esempio, un turpiloquio di 38 minuti era più che dovuto, ma l'”Interludium” posto a quarta traccia fa scivolare l’ipotetica data di collocazione del loro album un po’ più in avanti, in quel periodo più melodico e più accorato che ha creato capolavori immortali come At the Heart of Winter o In the Nightside Eclypse, che però a livello melodico differiscono da questo Old Black proprio in virtù di strutture sicuramente più variegate di mattoni come “Renegation” o “Vernunft 1.0“. Un lavoro riuscito al 100% come esempio di gran black ispirato, e al 50% per quanto riguarda la collocazione temporale. E poi l'”Old Black” di cui parlano, a mio avviso, non è una bestia da imitare. È una grande icona del passato, fatta non solo di musica, ma di mentalità, ispirazione e di una componente naturale non indifferente, tutta figlia dei propri tempi però, e significativa nel proprio contesto; una cosa che i Negator falliscono di far intravedere appieno, legati come sono a una metalità tedesca, qui nolentemente riflessa nel loro sound, di tutt’altro stampo. Chi vuole solo musica l’avrà, e pure ben fatta. Chi vuole l’Old Black, beh…

TRACKLIST:

1. Science Of Nihil
2. Free Bird
3. Der Infanterist
4. Interludium
5. Katharsis
6. Vernunft 1.0
7. In The Unholy Halls Of Eternal Frost
8. Renegation

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