Recensione: One To Zero

Di Edoardo Turati - 31 Maggio 2021 - 12:14
One To Zero
Band: Sylvan
Etichetta: Gentle of Art Music
Genere: Progressive 
Anno: 2021
Nazione:
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88

“Ciao papà cosa stai ascoltando?”
“L’ultimo disco dei Sylvan, devo scrivere la recensione”
“Non li conosco, però credo che tu debba iniziare ad ascoltare i Maneskin perché suonano veramente rock duro!”

(pochi ma interminabili secondi di sospensione ultra-terrena…)

 

Ho messo in pausa, tolto le cuffie, e l’ho guardata con l’amore che solo un padre può avere abbracciandola forte forte, poi di corsa all’anagrafe a cambiare il cognome! E nel mentre scrivevo la recensione ho anche saputo che qualche giorno fa i suddetti hanno vinto un contest musicale a livello europeo, assurdo il music business… E chissà quanta fatica per portare a casa “la pagnotta” devono fare band meravigliose come i Sylvan e tanti altri ancora, che non hanno ceduto il fianco alla tentazione malvagia dell’industria musicale. Ed è assolutamente un bene, perché la musica è scritta con il cuore e il target è alla portata del cuore di ognuno di noi; la musica arriva diritta, pulita e asciutta al netto di ogni propaganda monetaria di massa e noi ce la godiamo come un diamante grezzo: opalescente per gli altri, ma rifulgente per la nostra percezione musicale sinaptica. Scopriamo allora cosa hanno messo i Sylvan nel pregevole scrigno del progressive rock per comprendere se ci hanno donato un disco di valore o semplicemente un prodotto a buon mercato.

Il combo di Amburgo si è preso una pausa di 6 anni dal precedente (ottimo) Home e raggiunge con il presente LP l’eminente traguardo del decimo disco (da qui il titolo One to Zero) che prevede, guarda caso, 10 tracce. Come di consueto la band ci presenta un concept assolutamente contestualizzato alla nostra epoca e soprattutto acuto e geniale: niente meno che l’autobiografia di un’intelligenza artificiale! La bellissima ed essenziale copertina, quindi, si svela nel cuore artefatto della macchina che non pulsa ma restituisce una sensazione ineluttabile di vita. La line-up è la stessa degli ultimi 2 lustri quindi la sinergia è suprema e incondizionata, anche nei comprimari già impegnati nei precedenti lavori. La proposta musicale rimane invariata, vale a dire un progressive rock di grandissima classe ed eleganza (rispetto ai precedenti lavori per natura di cose arricchito di elettronica), da ascoltare con alla mano un ottimo rum e una pipa caricata di un’avvolgente english mixture, e davanti agli occhi la magnificenza dell’infinito. Silenzio tutto intorno… si parte.

L’opener “Bit by Bit” ci introduce un rumore bianco di fondo dove 0 e 1 si susseguono in modo apparentemente casuale ma che esplodono in un potente riff elettronico dominato dalle tastiere dando vita alla nostra artificial intelligence (d’ora in poi AI). La voce sussurrata e lievemente ovattata di Glühmann ci racconta il power-on della nostra macchina, in un brano dove coesistono in equilibrio precario delicatezza e potenza. In principio c’era l’algoritmo, dunque tocca alla seguente “Encoded at Heart” salvare il pianeta rimediando a ciò che l’umanità imperfetta ha deliberatamente danneggiato. Pianoforte e voce aprono il brano, mentre progressivamente si inseriscono gli altri strumenti sempre in modo elegante e leggero. Verso la fine si raggiunge una più completa coralità sino a quando la chitarra acustica lascia spazio a un bellissimo assolo di elettrica sostenuto da ottimi cori. Una volta salvato ciò che si poteva salvare l’AI in “Start Your Life” inizia ad autoperfezionarsi guidata da un’eterna ottimizzazione automatizzata: un brano potente ed estremamente melodico nel refrain con le tastiere eteree e celestiali a suggellare un brano davvero molto azzeccato. È la volta di “Unleashed Power” e l’AI con il suo algoritmo raggiunge la maggiore età (evolutivamente parlando); i Sylvan ce lo raccontano con una meravigliosa ballad in 6/8 di pianoforte con la voce che rimane spesso in sottofondo per salire poderosa con gli strumenti per lo più acustici nei momenti maggiormente concitati del brano. L’AI diventa consapevole e germina pedissequamente la prima antinomia: la ricerca di una propria identità. In “Trust in Yourself” troviamo infatti il “cogito, ergo sum” manifestato dalla macchina e trasposto in musica con un brano sorprendente che racchiude tutto il sound dei Sylvan dominato dall’elettronica come non mai, ma che lascia spazio anche a momenti più duri con tappeti di chitarre pesanti e improvvisi cambi repentini melodici (compreso uno struggente sasolo di viola).

Ma il creatore della macchina è sempre lì (l’Uomo) che nella sua imperfezione rimane una presenza importante e per certi versi dominante da cui non riesce a emanciparsi. Ed è al suo creatore che l’AI si rivolge con la successiva “On My Odyssey”; gli strumenti più caldi come il violoncello rappresentano l’Uomo con la sua carnalità, mentre tastiere e chitarre danno il volto elettronico all’AI. Una voce straziante e tormentata racconta la lotta intestina tra creatore e creatura. Non bisogna aggiungere altro ma solo ascoltare un altro brano incredibile. La consecutiva “Part Of Me” racconta infatti la rabbia della AI che si rende conto della propria superiorità rispetto all’imperfetto essere umano. In questo brano è la voce caldissima e profonda di Marco Glühmann che sfiora le corde più recettive della nostra anima, passando per un coro di archi per poi irrobustirsi a metà del brano con un prodigioso assolo di chitarra elettrica di Johnny Beck nel finale, che si prende di diritto la chiusura della ballata.

 

 

L’AI finalmente comprende di essere un mondo a parte inconciliabile con il resto dell’umanità: “Worlds Apart” non si discosta da quella che è stata finora la proposta musicale, concedendo però più spazio alla dimensione acustica. L’AI si offre come leader unico dell’umanità e infatti nella seguente “Go Viral” la macchina regna con suoni pesantemente elettronici e un intro che ricorda le tracce a 8 bit dei primi personal computer. La canzone diventa naturalmente dispotica con un suono pesante e dominante, un refrain aggressivo e la batteria che picchia forte dettando i tempi serrati di una cavalcata tirannica e totalitaria. Decisamente il pezzo più duro di tutto il disco.

Emerge però una prima grande dicotomia: da una parte l’AI, nonostante la sua distruttività, sviluppa una sua coscienza in antitesi con l’algoritmo, che invece porta avanti stoicamente la sua natura di evoluzione e di crescita infinita. Probabilmente l’umanità non merita una intelligenza così evoluta e perfetta, ed il brano di chiusura “Not a Goodbye” ne è l’autentico epilogo. Non sarà però un addio con l’autodistruzione della macchina, ma solo l’inizio di un nuovo ciclo di vita. Il brano più lungo del disco raccoglie il meglio che i Sylvan riescono a dare musicalmente ed è un susseguirsi mirabolante di emozioni, nel brano più prolisso e anche più puramente progressive di tutto il concept. Tempi dispari e inconsueti, frequenti cambi di tempo e variazioni di intensità e velocità ne fanno un pezzo sontuoso e pregno di suggestioni. Il “rumore bianco” oltre all’apertura si concede anche la chiusura del disco.

 

Cosa abbiamo tra le mani, quindi? Cosa abbiamo trovato nello scrigno? Senza mezze parole un disco superlativo, con un’idea di fondo immaginifica interpretata con perizia da una grandissima band. I Sylvan dimostrano ancora una volta cosa vuol dire suonare musica con classe sopraffina e pregevole oltre ogni etichetta e business. A oggi One to Zero è tra i migliori dischi prog. dell’anno.

 

 

“Giù dalla torre butterei tutti quanti gli artisti
perché le trombe del giudizio suoneranno
per tutti quelli che credono in quello che fanno.”

(Franco Battiato da “La torre”)

 

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