Recensione: Operation Phoenix

Di Fabio Vellata - 1 Febbraio 2023 - 0:01
Operation Phoenix
Band: Crowne
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Hard Rock  Power 
Anno: 2023
Nazione:
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83

Un secondo disco molto più credibile per i Crowne, uno dei tanti supergruppi assemblati come un Lego che con il debutto “Kings in the North“, uscito un paio di anni fa, aveva destato opinioni contrastanti.
Formalmente impeccabili. Precisi, quasi perfetti nel centrare melodie costruite per piacere trasversalmente agli ascoltatori di H.E.A.T e Sonata Arctica.
Un po’ di hard rock ruvido e qualche finezza power in stile nordico.
Tutto molto bello.
Tutto molto freddo.
Per l’appunto “costruito”, non spontaneo, privo di effettivo trasporto emotivo.

Il secondo capitolo della band del frontman Alexander Strandell (l’ex Art Nation è un singer di grandissimo talento, va detto), sembra molto più “tangibile” ed emozionante dell’algido esordio.
Per l’appunto, “vero”.
Forse il primo disco era una specie di prova, mentre “Operation Phoenix” può dirsi il prodotto reale di una band reale. Esistente e non estemporanea. Non quindi, di un gruppo di sconosciuti di alto valore professionale, messi insieme per suonare, però senza un’anima comune ed unità d’intenti. Un po’ com’erano apparsi i Crowne alla loro partenza.

Almeno, questa è l’impressione che deriva dall’ascolto di brani come “Super Trooper”, “Juliette” e “Ready to Run”. Per non parlare delle clamorose “Northern Lights” o “Operation Phoenix” (la canzone), una delle title track più impattanti che ci siano capitate nello stereo da un po’ di anni a questa parte. Roba che, da sola, basta a rendere il cd un mezzo successo.
C’è ancora una piccola sensazione di artefatto che si agita in sottofondo, ma è un disturbo alquanto limitato. Si percepisce molto di più un clima di gruppo che lavora all’unisono e non si ferma ad eseguire asetticamente – ancorché con valori eccellenti – il compito assegnato.
In “Operation Phoenix” insomma, i Crowne intesi come band, sembrano essersi pure divertiti al punto dal comunicarlo anche a chi ascolta.
Alcuni ritornelli sono lame che si piantano in testa (il “coro” di Northern Lights per dirne uno, è fulminante ed istantaneo) e se le atmosfere di stampo scandinavo sono nelle proprie corde, si può persino innamorarsene.

Un’opera d’arte, se perfetta nella forma ma povera nelle emozioni, è destinata a rimanere incompiuta. Vacua come un sogno inafferrabile.
I Crowne recuperano un po’ di anima che, messa assieme ad un songwriting accattivante e ad arrangiamenti de-luxe (Jona Tee degli H.E.A.T ha sempre il suo bel peso), contribuisce in modo determinante a fare di “Operation Phoenix” un disco indubbiamente riuscito.
Che piacerà a molti, sia amanti dell’hard rock nord europeo che seguaci del power più melodico. E magari a qualcuno regalerà, oltre a sicuro divertimento, anche qualche emozione inattesa.

Non siamo ancora giunti ad un ruolo apicale per il genere. Ma dopo un ottimo disco come questo non si può negare l’evidenza. In futuro, con ulteriori raffinamenti, potrebbe succedere.

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