Recensione: Otherlike Darknesses

Di Daniele D'Adamo - 25 Maggio 2025 - 0:00
Otherlike Darknesses
70

Secondo album in carriera per i norvegesi Felgrave, “Otherlike Darknesses“, che segue a distanza di cinque anni il debutto, avvenuto con “A Waning Light”, coincidente con la nascita del gruppo.

Biografia e discografia scarne che non devono ingannare, poiché il sound proposto dai suddetti è adulto, perfettamente formato attorno ai dettami di base di uno stile che si mostra piuttosto complesso. Stile che in questi ultimi anni sta rivoluzionando, a livello underground, ciò che rappresenta il death metal classico.

Il quale si è tramutato in una foggia musicale del tutto dissonante, disarmonica, che a volte fa storcere le orecchie, se così si può dire. Con una componente evoluzionistica di tutto rispetto, tant’è che sono sorte definizioni come progressive death metal, ma anche dissonant death metal sino ad arrivare a chaotic death metal.

Probabilmente si è esagerato nell’inventare nuove definizioni per inquadrare correttamente band come quella in esame, per cui, a parere dello scrivente, progressive death metal basta e avanza. Anche perché, davvero, i Felgrave si spingono oltre i confini conosciuti del metal estremo per viaggiare in un microcosmo dove tutto è possibile, dove tutto vale.

Il che è pericoloso, giacché si rischia di perdere la rotta maestra, cioè le coordinate artistiche, e di disperdersi pertanto in una forma musicale in cui regna indisturbato il caos. Non a caso, a un primo assaggio, “Otherlike Darknesses” pare essere un full-length pieno zeppo di note senza capo né coda, confluenti in un inestricabile marasma sonoro.

Questa sensazione primigenia pare essere appoggiata dai brani, solo tre ma lunghi anche quasi venti minuti, nei quali gli elementi evoluzionistici sono centrati, soprattutto, nel creare qualcosa che al suo interno contenga degli episodi dissimili fra loro, un po’ come una canzone nella canzone. Il che può certamente disorientare benché il songwriting appaia sensato e cosciente di proporre musica complicata sì ma che abbia comunque un senso compiuto.

In ogni caso, i Felgrave pestano duro, regalando istanti di pura allucinazione grazie a una mostruosa spinta da parte dei blast-beats, accompagnata dalle divagazioni cacofoniche della chitarra solista (“Pale Flowers Under an Empty Sky“). La potenza del sound, in occasioni delle parti più spinte, è in certi momenti spaventosa. Un muraglione di suono invalicabile, massiccio, enorme, che descrive sulle sue pareti la natura di un mood cupo, oscuro, a tratti pure tenebroso (“Otherlike Darknesses“).

A questo punto è necessario porre l’accento su una circostanza importante. Ascoltando il lavoro, si percepisce senz’altro la bravura di un gruppo i cui componenti sono dotati di un alto tasso di tecnica. Questo però non corrisponde la vero, dato che si è di fronte a una one-man band (sic!) a nome di M. L. Jupe, che si occupa di tutto, voce compresa. Il che, sempre a parere di chi scrive, determina un valore aggiunto all’opera in virtù del fatto che il Nostro riesca a produrre musica come una formazione di cinque elementi, componendo peraltro in modo lambiccato (“Winds Batter My Keep“).

Alla fine non si può che essere stupiti dal talento del ridetto M. L. Jupe, capace di creare un’opera immensa nei contenuti musicali, dotata di un’atmosfera notevole ma forse troppo ardua da digerire, anche per i fan dell’oltranzismo sonoro, a causa di approccio eminentemente eclettico alla questione.

Otherlike Darknesses” o si ama o si odia. Vie di mezzo non ce ne sono.

Daniele “dani66” D’Adamo

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