Recensione: Parabellum

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 18 Luglio 2021 - 10:18
Parabellum
Etichetta: Mascot Label Group
Genere: Heavy  Shred 
Anno: 2021
Nazione:
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69

Parabellum, ultimo disco di Yngwie Malmsteen, può essere impersonificato come il protagonista di una storia stramba, una storia alla fine della quale, dopo lo sviluppo di vicissitudini già viste, non è consentito esprimere giudizi di natura morale, perché il protagonista non può essere classificato come buono o cattivo, originale o canonico, poiché egli stesso sembra scambiarsi le parti e aderire a un canone in base ai gusti individuali e soggettivi del lettore. Alla fine, però, parafrasando con fantasia Brecht, ognuno può sedersi dalla parte della ragione o del torto, perché ci sarà sempre un motivo affinché la propria teoria venga riconosciuta o sconfessata. Una teoria che, nel caso specifico e uscendo dalla metafora letteraria per irrompere in quella musicale, al netto delle chiacchiere e dei distintivi, porta il cuore a farla da padrone, che piaccia o no, fino a farlo diventare giudice inattaccabile che può emettere due sentenze di pari valore e validità, anche se diametralmente opposte. Le due sentenze non saranno né banali né geniali, ma semplicemente riferite alla totale accettazione e godibilità di Parabellum o a una compiuta e amara delusione. Quindi in questo caso, come raramente accade, il giudizio sarà dettato dai venti personali che spingeranno il cuore verso l’una o l’altra direzione.

L’ascoltatore, in attesa dal 2016 (anno di pubblicazione dell’ultimo album di inediti World On Fire), in ogni singola traccia di Parabellum ascolterà un manifesto musicale della carriera del chitarrista svedese, in quanto si ritroveranno tutte quelle caratteristiche che lo hanno reso noto, fino a farlo a diventare tra i più grandi guitar hero della storia della musica; certo qualcuno potrà obiettare che anche in questo lavoro una ventata di novità non è presente, ma Malmsteen fissa ancora una volta la sua identità (sotto tutti i punti di vista) lasciandola inconfondibile nell’infinito arcipelago musicale.

Il disco, la cui copertina non spicca per originalità o ricercatezza, ha un attacco fulminante generato da quelli che sembrano dei folgoranti tweet composti da Paganini e sin dal primo brano (Wolves At The Door) risulta essere epico, caratteristica questa che emergerà in varie parti dell’album.

A metà strada tra un coro religioso e un mero esercizio musicale, Presto Vivace in C# Minor è la conferma di quanto detto in precedenza, un lavoro al quale Malmsteen ha da sempre abituato l’ascoltatore ma che, pur rimanendo nel recinto delle sue peculiarità, riesce a toccare le corde emozionali ed affettive di chiunque si approcci al disco e questo è un altro refrain di tutto il disco.

Il genio chitarristico di Malmsteen riesce a tirare fuori dal cilindro esecuzioni assolutamente degne di nota, fascino e mistero, infatti rimane un enigma da quale cavità vada a prendere tutte le note suonate nel brano Toccata.

Mettendo in play il lettore cd il primo brano, come detto, è Wolves At The Door che si presenta come una letale rasoiata e si identifica per un intro fuoricampo tipicamente “Yngwie” e la doppia cassa in evidenza. Il riffing non è proprio originale, ma come sempre d’effetto, e il chorus risulta facilmente cantabile, però decisamente non brillante. La produzione è quella a cui il chitarrista svedese ha abituato gli ascoltatori negli ultimi vent’anni: sporca, poco definita, gonfia sulle pelli e sbilanciata (ovviamente) verso il proprio strumento. Un gran peccato. Il chorus viene interrotto quasi sempre da dei break un po’ frettolosi, ma questo potrebbe essere visto come un dettaglio. Piuttosto la domanda che sorge spontanea è un’altra ed è la seguente: perché inserire per l’ennesima volta il tema del Capriccio n.24 di Paganini all’inizio della parte strumentale? I più attenti ricorderanno la stessissima operazione fatta all’interno dell’opener di War To End All Wars, ovvero in Prophet Of Doom di ben 21 anni fa, ma con esiti un po’ più felici. Davvero il bisogno di inserire questa citazione è così forte? A nostro avviso, se davvero si vuol esaltare un compositore così importante, almeno in nome del virtuosismo, si potrebbe fare una ricerca più approfondita, magari ricercando tra le sue composizioni per chitarra o almeno permutando con gli altri Capricci, ancora oggi sconosciuti.

Presto Vivace In C# Minor è un’ottima strumentale che gioca tra il tragico e il fast e come già scritto in precedenza le sonorità e i fraseggi sono quelli sempre presenti all’interno della discografia di Malmsteen, ma pur sempre godibili e spontanei. Le scale all’unisono con i tom sono molto evocative e creano grande impatto emotivo. Inutile discutere sul lirismo malmsteeniano a contatto con la sua scalopped, un marchio di fabbrica tra i più riconoscibili in assoluto e definirlo emozionante sarebbe riduttivo.

Bellissimo il riff di Relentless Fury, fa sognare per pochi secondi un ingresso epico (che purtroppo non vi sarà mai) di un Mark Boals o di un povero bistrattato Mats Leven al microfono. Bisogna comunque riconoscere che la voce di Malmsteen in questo brano è quanto mai azzeccata, ma i frontman sopracitati sono sicuramente di razza superiore. Il pedale finale ricorda davvero le primissime produzioni del chitarrista svedese in quanto a semplicità, ma allo stesso tempo risulta efficace nel rendere tutto sospeso e d’atmosfera.

Gioco di Left and Right per l’intro di (Si Vis Pacem) Parabellum, idee che riportano direttamente a Magnum Opus. Questa seconda traccia strumentale ha una parte centrale un po’ confusa, ma poi con i break in cadenza di dominanti secondarie tutto diventa più familiare (o forse monotono).

Peccato cha un certo punto, durante l’ascolto, arrivi la parentesi pacchiana! L’intro vocale polifonico di Eternal Bliss riporta alle produzioni con Vescera alla voce, allo stile cotonato e pomposo delle ballate malmsteeniane di fine anni ‘90. Senza infamia e senza lode, anche se lodevole è in realtà la coerenza con cui Malmsteen si approccia a questo stile di scrittura. Il risultato finale dopo l’ascolto? Senza dubbio il tassello mancante fino ad ora in un puzzle che porta in maniera inequivocabile il marchio del chitarrista svedese.

Segue Toccata, altra strumentale del lotto. Qui il livello di ispirazione (fino ad ora non proprio altissimo) rasenta il livello di sufficienza, tecnicamente ineccepibile anche se la classe dello svedese ha conosciuto tempi migliori.

Intro arpeggiato dal timbro tipicamente scoppiettante dato dall’utilizzo del plettro sulle corde in nylon per God Particle. Ennesimo brano strumentale che punta sui break cadenzati, quasi ad affermare che quel senso di “furia” (tanto decantato dal Nostro per l’uscita di questo disco) sia proprio rappresentato da queste progressioni armoniche. Comunque il brano risulta di gran lunga più ispirato rispetto al precedente. Gli arpeggi sono intensi e struggenti, veloci e limpidi. Tra i punti più alti fino a ora.

Magic Bullet è una porta verso il passato, a metà strada tra Trilogy e qualche scopiazzo alla “Timo Tolkki” dei bei tempi che furono. La line up alla base ritmica è di alto livello: Emilio Martinez al basso e Brian Wilson alla batteria conferiscono vigore e botta sonora a questo brano.

Altro ingresso pomposo ed epico per (Fight) The Good Fight, peccato per il verse cantato un po’ sottotono. Tutto l’opposto per le parti strumentali di questa canzone che sono davvero convincenti, il che rende il tutto purtroppo frammentato e discontinuo. Groove impetuoso e virtuosismi chitarristici fanno da condimento, i bending in vibrato sono una goduria seppur ripetitivi, ma si sa: al cuore non si comanda.

Sweep picking brucianti sulle nylon per Sea Of Tranquility, sembrerebbe questo forse il modo più scontato per Malmsteen di concludere questo disco. Ma c’è tempo per le ultime sfuriate, nell’unico modo possibile così come ha dato modo di affermare in questo platter: dominanti secondarie e arpeggi ultraveloci. I fan del virtuoso saranno contenti, un po’ meno chi è alla ricerca di innovazione stilistica ed è qui che si può cadere nel banale, soffermandosi superficialmente sull’aspetto “solista” del Malmsteen chitarrista. Però l’analisi da fare è un’altra: in Parabellum l’artista vuole esaltare più che in altri lavori l’egocentrismo, quello genuino e sincero, senza fronzoli né compromessi. A un artista non bisogna fare domande, l’essere egocentrici non è un difetto se c’è competenza e coerenza. Il Compositore con la C maiuscola scrive tutto dalla A alla Z, dinamiche comprese e qui Yngwie J. Malmsteen non fa sconti e vuole emulare il più possibile questa figura (ormai d’altri tempi).

Il finale in fade out è la perfetta chiusura di questa nuova fatica discografica. Un solo di chitarra lunghissimo e claustrofobico che non trovando pace deve essere per forza soffocato dai livelli dietro il banco mixer, lasciando in maniera immaginaria il nostro axe man in sala di registrazione solo con la sua musica. Se non è arte questa…

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