Recensione: Pessimist/Obscureality [45 Giri]
Premessa: per poter dare sufficiente visibilità alle due copertine, si è scelto si proporle entrambe, una in forma ridotta e l’altra standard una volta aperta la recensione.
Ha ancora un senso far uscire un 45 giri nel 2009? Per Luigi Mazzesi della New LM Records/Crotalo la risposta è fortissimamente affermativa. Impagabile, infatti, il godimento procurato dal crepitio della puntina sul piccolo disco in vinile che gira, oltremodo ancor di più a proprio agio in un ambito costituito da musica dura e plumbea come quella fornita dagli Homo Herectus da un lato e dalla Confraternita Del Vuoto Immenso dall’altro.
Gli Homo Herectus di formano nel 2007 dall’incontro fra il chitarrista Andrea Cardellino (Impero Delle Ombre, Witchfield) e la coppia Dany Mancino/Christopher Casalino, rispettivamente batteria e basso, direttamente dall’undergroud salentino. Durante i primi mesi di prove Andrea si occupa anche delle parti vocali fino al momento nel quale il progetto diviene realtà consolidata, e viene ingaggiato all’uopo un cantante di ruolo nella persona di John Goldfinch, già singer dell’Impero Delle Ombre. E’ del 2008 un demo autoprodotto di tre brani (Pessimist, Suicide e A Space Odissey) e di quest’anno lo split vinilico con la Confraternita Del Vuoto Immenso, una misteriosa realtà attiva dal 1996.
Artefice del progetto “Confraternita” è Andrew Hungarian, autodidatta che muove i primi passi con i Contemptus Mundi, band nella quale militano personaggi come Andy e John Goldfinch, Joseph Siren, Steve Flows, Michael German, Fabius Mc Blasy, Vitus Hat, Hugo Serius, Gabry Mc Victor e Andy Strong. Il repertorio alterna cover a brani inediti ma la stabilità della line-up tarda ad arrivare, fra dipartite varie e demoni che perseguitano alcuni membri del gruppo, che si scioglie nel 2000, con all’attivo solo due brani finiti: Obscureality e The Other Side. Nonostante le condizioni avverse il percorso di vita e musicale di Andrew continua ed è costellato da profonde esperienze personali che lo portano ad avvicinarsi all’Agnosticismo Esistenziale, da qui la scelta del cantare in fonetico dando solo il titolo come riferimento.
Pessimist: un suono durissimo di chitarra dal sapore anni Settanta e dal profumo che sa di acciaieria di Birmingham spalanca la strada all’interpretazione vocale di John “Goldfinch” Cardellino, mai così vicino all’Ozzy Osbourne lagnoso dell’era solista dei primi dischi (Diary Of A Madman e Bark At The Moon). A riportare, invero per poco, il brano sui binari heavy metal classici ci pensa il solo di chitarra a metà brano, poi tutto torna come prima, immerso fra le tenebre del disco dalla copertina in cartone, realizzata dall’artista californiano Will Koffman, autore del suggestivo uomo primitivo su sfondo bianco. Giudicare una band da una sola canzone è praticamente impossibile; quello che salta all’orecchio, in questo caso, è il netto distacco dal sound Doom di scuola latina, per abbracciare la solenne e intoccabile tradizione inglese, ossessiva e impermeabile alle critiche. Nota riportata all’interno del 45 giri: Pessimist è stata scritta in memoria di Sanctis Ghoram e Richard Wright.
Discorso opposto per Obscureality, pezzo cresciuto dall’humus creato dalle ceneri bastarde e nere dei Death SS prima e dal Paul Chain Violet Theater dopo. La voce sciamanica e cerimoniosa di Andrew fa il resto, riuscendo a evocare antichi spettri del passato, anche dal pedigree assoluto come i Pink Floyd più oscuri. La chitarra “gratta” che è un piacere sentirla, fino alla parte centrale del brano dove esplode in un solo dal gran feeling e l’atmosfera, d’incanto, si dipana dalle tinte fosche dell’inizio per consegnare qualche timido barlume di luce, comunque dalla breve durata. La ritmica assassina e pesantissima della sei corde riprende il sopravvento e il buio la fa di nuovo da padrone, fino alla fine della traccia, dedicata a Marino Pedone (RIP).
Speriamo che un giorno non troppo lontano entrambi i brani di questo 45 giri portino a un qualcosa di più sostanzioso, magari sotto forma di full length.
L’Italia, per l’ennesima volta, si conclama terra di grandissimi talenti e la cosa viene paradossalmente sempre più sottolineata nelle dichiarazioni dei fenomeni – e non – stranieri di passaggio in tour qui da noi, a testimoniare che l’ondata metallica tricolore non si sia mai spenta e anzi continua a consegnarci perle di rara bellezza. Quello che manca, e pure troppo, è come sempre il pubblico nostrano, ormai cronicamente ammaestrato a dovere e pronto a muovere il proprio pesante deretano in massa solo in occasione dei concerti degli stramiliardari dell’HM, che probabilmente manco più si divertono a stare su di un palco, si fanno grasse risate ogni volta che passano da noi dopo aver controllato per bene l’incasso e sempre e comunque fanno il tutto esaurito, alla faccia di dischi fatti con lo stampino e operazioni commerciali ad hoc.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
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