Recensione: Postcards from the End of the World

Di Roberto Gelmi - 20 Marzo 2022 - 11:00
Postcard from the End of the World
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Heavy 
Anno: 2022
Nazione:
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80

Tornano gli Shining Black, il duo melodic heavy che ha strappato consensi positivi due anni fa con il disco omonimo di debutto. Fugati i dubbi sulla natura estemporanea della collaborazione tra Olaf Thorsen e Mark Boals, con Postcards from the End of the World abbiamo a che fare con un nuovo capitolo del loro sodalizio artistico. Se l’effetto sorpresa è sfumato, quello che conta, tuttavia, è la conferma del livello qualitativo proposto dal combo, che riesce a ribadire quanto di buono concepito nel 2020. Del resto parliamo di due fuoriclasse, Thorsen maestro della chitarra elettrica, Boals cantante dal curriculum scintillante e con un’ugola ancora in grado di stupire. Ricordiamo inoltre che i due musicisti volevano iniziare il sodalizio già nel 2014, perciò parliamo di un progetto che ha alle spalle un giusto periodo di incubazione.

Le danze si aprono con la potente title-track, che riesce a eguagliare la pregevole fattura di “The House of the Fallen Souls”, l’opener dell’album di debutto. Tutto funziona a meraviglia, la sezione ritmica, gl’inserti di tastiera del sempre ispirato Oleg Smirnoff (Eldritch), la voce melodica di Boals sul ritornello. E Thorsen? Il chitarrista regala un assolo nella parte finale: senza eccedere in sveltezza e puntando sulla sapidità delle note suonate, ottiene un buon risultato all’interno dell’economia del brano. Più innico il refrain di “Higher Than The World”, pezzo che vive di potenti iniezioni hard rock. Boals si trova nel suo ambiente congeniale, il sound è saturo e coinvolgente; molto bello il break semiacustico che inizia al quarto minuto con Thorsen che stupisce con ricami blueseggianti per poi divertirsi nell’uso del tremolo. Il disco vive di continui scambi tra rock e metal, e così è la volta di “We Are Death Angels”, pezzo che attacca in modo heavy (ma non parliamo del brano più pesante in tracklist) e prosegue per cinque minuti di musica potente e senza cali di tensione, come in un album dei Vision Divine. “Summer Solstice Under Delphi’s Sky” ha un titolo allitterante che promette bene. Nei primi secondi propone un momento quasi prog. salvo poi mutare pelle e continuare come brano pienamente Shining Black. Pochissima doppia cassa, tastiere presenti ma non in modo invadente, voce e chitarra a dettar legge, tutto da manuale. Siamo a metà album, è tempo di ballad, ecco allora le strofe di “Like Leaves In November”, brano che stenta a decollare ma poi regala emozioni, grazie a uno dei ritornelli migliori di Postcards from the End of the World. I fan dei primi Royal Hunt, inoltre, riconosceranno i rimandi alla band danese sul finire del quarto minuto…

Si è decisamente appagati dopo cinque pezzi di simile caratura, ma non ci sono pause, si prosegue con il doppio pedale di “A Hundred Thousand Shades Of Black”. Le centomila sfumature di nero portano bene alla band di Boals e Thorsen, che riesce di nuovo a riproporre il suo mix di potenza e ardimento sonoro energizzante. Il cantante dell’Ohio a sessant’anni tocca ancora note altissime, chapeau. Dopo un pezzo power, note di pianoforte introducono “Faded Pictures Of Me”, song a tratti mesta ma comunque con un tiro melodico non indifferente. L’ultima sorpresa del platter è “Mirror Of Time”, con il suo attacco dalle furiose ritmiche heavy e il drumming insistito di Matt Peruzzi. Il ritornello è un’altra perla, un istant classic della band che andrebbe proposto in sede live; l’unisono al quinto minuto, inoltre, è uno highlight che per velocità rievoca i tempi d’oro dei Sonata Arctica. “Fear And Loathing” e “Time Heals, They Say” non aggiungono altro al discorso portato avanti fin qui, il platter termina con un semplice fade-out dopo un altro profluvio di note e linee vocali cristalline.

Che dire? Postcards from the End of the World è un album che contiene al suo interno momenti decisamente ispirati come la titletrack, “Higher Than The World”, “Summer Solstice Under Delphi’s Sky”, “Like Leaves In November” e “Mirror Of Time”. Come emerge dall’intervista a Olaf Thorsen i testi sono innervati da un pessimismo di fondo, risollevato tuttavia da un approccio musicale vigoroso. Il duo BoalsThorsen vive un’apprezzabile fase creativa, ci auguriamo che il sodalizio prosegua e di vedere on stage la coppia di talenti.

 

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