Recensione: Predator

Di Matteo Lavazza - 17 Maggio 2004 - 0:00
Predator
Band: Predator
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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73

Dopo un paio di ep ed un paio di demo con il monicker Stormblade il gruppo tenta la fortuna con un nuovo nome, Predator appunto, e un contratto con la tedesca Remedy Records, etichetta sempre attenta a quello che è l’underground Metal germanico.
Il gruppo segue fedelmente quelli che sono i canoni classici del Metal Tedesco, cioè potenza e buone melodie, ma attenzione non ci troviamo di fronte all’ennesimo gruppo Power, le tastiere sono praticamente bandite dal disco, c’è solo un orchestra che fa capolino nella Power Ballad “Dream’s Assassin”, canzone peraltro molto bella seppur di certo non molto originale, ma che può contare su una prestazione davvero ben riuscita del cantante  Marko Osterholtz.
Per dare un idea del suono del gruppo potrei dire che sono una sorta di via di mezzo tra Brainstorm e Primal Fear, fin dall’iniziale “Predator” si viene investiti da un vero e proprio fiume di metallo teutonico alla massima potenza, ritmi veloci, chitarre potenti e la voce melodica, pulita ma allo stesso tempo aggressiva del bravissimo e già citato Marko.
Di certo il disco non verrà ricordato negli annali del Metal come un disco innovativo, ma quando un gruppo riesce comunque a creare un disco così genuinamente Metal non si può che esserne felici, canzoni come “Addicted to Pain”, terribilmente coinvolgente nella sua semplicità, nemmeno un vago tentativo di fare qualcosa di nuovo o innovativo, ma con una carica dirompente e, soprattutto, con un gusto melodico davvero al di sopra della media, “Buried Alive”, che può contare su un riff portante davvero bellissimo, e su un lavoro della coppia di chitarristi, Nils Loffler e Daniel Hinz, davvero pregevole, soprattutto in fase ritmica, ma anche in quella solista riescono a trovare ottime soluzioni, la già citata “Dream’s Assassin”, la maideniana “Escape to Nowhere”, il cui inizio mi ha rimandato a certe soluzioni Iron Maiden epoca “Somewhere in Time”, per poi partire con un mid tempo spezzato dalle accelerazioni sul ritornello, e la conclusiva “Night of the Witches”, davvero bellissima, con arrangiamenti di prim’ordine e una carica dirompente, un pezzo che più tradizionale non si può, ma con quel fascino e quella potenza che solo un brano Heavy Metal può regalare, sono in grado di elargire a piene mani soddisfazioni agli amanti del Metal più ortodosso.
Purtroppo a fare da contraltare alle canzoni che ho fin qui citato ci sono almeno un paio di brani che, pur essendo in tutto e per tutto in linea con il resto dell’album, non hanno proprio quella scintilla che riesce a renderli avvincenti, sfortunatamente “Buried Alive”, “Coming Home” e “Waiting Forever” mi sono risultate alquanto anonime, nonostante dei riff anche piuttosto gradevoli e in qualche caso potenti.
I suoni sono davvero ottimi, potenti e non troppo lavorati, in modo da dare all’album un ottima resa unita ad un suono piuttosto caldo.
A livello strumentale la band è decisamente di ottimo livello, forse il bassista, Mark Schmieding, e il batterista, Sebastian Hinz, avrebbero potuto cercare soluzioni un po’ meno scontate con i loro strumenti, di certo però non difettano in potenza; molto bravo come già detto il cantante Marko Osterholz, molto vicino come timbro vocale ad Andy B. Franck dei Brainstorm/Symphorce.
Sono convinto che dischi del genere facciano un gran bene, non sono mai stato un sostenitore della sperimentazione selvaggia, preferisco di gran lunga belle canzoni anche se forse non proprio originali, ma che abbiano impresso a fuoco il marchio Heavy Metal, canzoni come quelle che i Predator hanno messo sul loro album d’esordio.

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Anno: 2004
73