Recensione: Primacy Arrival
Gli Axiom Chaos, nuova realtà del brutal death metal statunitense, al debutto discografico con “Primacy Arrival“, propongono un concept dal forte sapore fantascientifico. Un concept nel quale, in sostanza, si focalizza l’attenzione su Vulpecula, costellazione dell’emisfero boreale da cui giungono entità aliene, dormienti da eoni, che sferrano il loro attacco alla Terra.
Si tratta di tematiche sviluppate anche in altre forme, nei testi degli act che pulsano nei territori del metal estremo, con specifico riferimento ai racconti di H.P.Lovecraft. Tuttavia, nel campo settoriale del brutal – ove tutto è aggregato a soggetti che trattano di morte, torture, macellazioni, decomposizioni, necrofilia e tanto altro ancora appartenente al gore più spinto – quest’idea di unire alla devastante furia demolitrice della musica l’epopea di divinità deformi, le quali strisciano nelle paludi ribollenti che giacciono nei recessi più profondi del mondo sotterraneo del death metal, non è affatto male.
Anche perché i racconti delle guerre con gli dei innominabili non possono che incidere sullo stile del duo americano. Sì, perché gli Axiom Chaos altri non sono che Justin Vølus (voce) e Ben Vanweelden (chitarra, basso, batteria). Duo molto attento a bilanciare la follia scardinatrice che, forse, soltanto il brutal riesce a scatenare, a inserti ambient, in un caso addirittura quale segmento al pianoforte, assai melodico, che s’incastra alla perfezione al caos indotto ma controllato del duo stesso (“Primacy Arrival“).
Con che, si può affermare che i Nostri siano riusciti a creare un sound abbastanza originale, che riesce a emergere da una marea di band che fabbricano brutal tutte allo stesso modo. Già la melodia è un elemento di spicco. Non che si possa definire un nuovo sotto-sottogenere del tipo melodic brutal death metal. No. Però, ciò che si rileva con chiarezza nel brano che chiude il full-length, “Exodus into Oblivion“, è la percezione di qualcosa di nuovo che rappresenta quel quid in più da differenziarsi dalle band succitate.
Per il resto, Vølus e Vanweelden macinano il loro stile rispettando alla partenza tuttavia tutti i dettami che definiscono in maniera univoca la foggia musicale in questione. La voce declina verso un semi-growling rabbioso, masticato, totalmente incomprensibile (“The King, I Am“), che sfocia spesso in inhale rabbrividenti per il livello di suinaggine raggiunto (“The Gift of Recognition“). Anche in questo caso, si tratta di un approccio apparentemente disordinato alle linee vocali non del tutto ordinario, giacché queste ultime rimescolano il contenuto di ogni singolo episodio.
Nel rispetto dell’onnipresente tecnica del palm-muting, volta a comprimere gli accordi distorti della chitarra, Vanweelden cuce riff parecchio complicati nel loro incedere fra le righe. Costruendo in tal modo delle massicce fondamenta che tengono su, con sicurezza, tutto quando elaborato e sparato alla velocità della luce dall’altra strumentazione. Compresi gli arzigogolati assoli che fuoriescono dalla sei corde come un proiettile sparato da un fucile.
Lo stesso Vanweelden, seppure anche lui impegnato in una stesura di pattern non lineari, scatena terrificanti salve di blast-beats, alternandole a ritmi magari meno esacerbati, ma che sono indicative della voglia del combo dell’Ohio/South Carolina di raggiungere e sfondare la barriera dell’hyper-speed, per godere appieno delle divagazioni della mente quando sottoposta a trance ipnotica (“Extraterrestrial Necrotic Urge“).
Non male nemmeno il songwriting. Benché le canzoni siano della durata ordinaria pari a 3/4 minuti, pare che il disco duri un’eternità invece che poco più di mezz’ora. Questo fatto la dice lunga sulla straordinaria quantità di musica presente, insaccata, pressata in ogni brano. Che, uno per uno, lasciano vedere una buona differenziazione per un ascolto che non raggiunge certo la noia.
Anche in tipologie artistiche che paiono bloccate nel loro sviluppo evoluzionistico, e si tira in ballo nuovamente il brutal death metal, chi è in possesso di idee diverse dal solito e di un valido talento compositivo, riesce al contrario ad apportare un soffio di giovinezza e freschezza tali da rendere vere e tangibili le relative idee progressiste.
E questo è il caso degli Axiom Chaos con il loro “Primacy Arrival“.
Daniele “dani66” D’Adamo