Recensione: Reborn

Di Andrea Bacigalupo - 15 Ottobre 2020 - 8:30
Reborn
Band: Netherblade
Etichetta: Dark Hammer Legion
Genere: Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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75

Ha fatto un bel centro la Dark Hammer Legion, etichetta specializzata in Metal estremo e parte della Volcano Records, mettendo sotto contratto i Milanesi Netherblade, band nata nel 2016 dalle ceneri dei Blindeath (gruppo che si era fatto conoscere con l’album ‘Into the Slaughter’ del 2014) quando Danilo Sunna (batteria), Luca Frisenna (basso) e Simone Aiello (chitarra) hanno coinvolto nel loro nuovo progetto Andrea Ledda al microfono e Riccardo Bona come secondo chitarrista, ora sostituito da Davide Zacco.

Con un paio di singoli e l’EP ‘Annihilation of Self’, del 2019, nel proprio carniere, ora la band affronta il debutto sulla lunga distanza sfornando l’album ‘Reborn’, disponibile dal 16 ottobre 2020.

Parliamo di un Thrash veramente incazzato, a tratti primordiale, con rapide incursioni nei territori del Metalcore e del Progressive e con delle punte epiche e marziali, risultato di una ricerca sonora che, pur radicandosi nella Old School, espande oltre le proprie idee per trovare soluzioni moderne ed innovative che colpiscano forte, senza rinunciare a quel modo feroce, aggressivo e diretto di comunicare la propria rabbia, scopo che da sempre ha contraddistinto chi è figlio ribelle dell’Heavy Metal.

Il songwriting è diretto, senza ‘giri di parole’ o dispersioni sonore, l’equivalente di una secchiata in faccia tirata senza preavviso.

I Netherblade suonano perlopiù veloce, con toni grevi e marcati ed un muro ritmico impenetrabile. La voce di Andrea ha tanta anima Hardcore ed è sia rabbiosa che prepotente, con una valida variazione tonale che riesce bene ad enfatizzare i concetti espressi.

Troviamo begli assoli, precisi, suonati con uno stile ben definito, con un senso e non solo perché ci devono essere, e linee di basso importanti ed autoritarie, che guidano il pezzo e non, semplicemente, lo accompagnano ed una batteria precisa ed infaticabile.

Insomma c’è tutto … non manca niente, tranne la ballad, che ai Thrasher piace fare per sembrare più umani. In questo caso meglio così, a mio parere, in un album altamente aggressivo come ‘Reborn’ non ci sarebbe stata bene.

Cosa invece ci sta bene è l’overture orchestrale d’apertura, spettrale, profonda ed al contempo potente che ben si adatta allo stile del combo meneghino.

Poi l’album decolla verticalmente, come un Harrier, senza farci riflettere. ‘Eye of the World’ è una putrella nei denti, immediata, senza fronzoli: è un vero attacco sonico.

Parlando dei brani ritenuti più rappresentativi, ‘Reborn’, che dà il titolo all’opera, non dà tregua con il suo riff assassino, l’andatura martellante senza sosta, se non nel momento del nero interludio pesantemente cadenzato e la voce che urla tutto il suo furore.

’Till the End’ ha un attacco pesantemente oscuro, ma poi parte a razzo e diventa un abrasivo Thrash ‘N’ Roll pazzesco e smodato; carico di selvaggia ribellione è un richiamo alla sommossa.

I Netherblade sanno fare anche altro: in ‘Braindamage’ (scritto tutto attaccato, non è la cover del brano dei Pink Floyd) escono un po’ dai loro schemi ed estremizzano l’Hard Rock compattandolo e trasformandolo in Thrash, tirando fuori un pezzo granitico, coinvolgente ed irriverente che non si stacca più di dosso.

Dopo la spregiudicatezza arriva la serietà, anticipata da una sezione orchestrale scura, una batteria guerriera ed un triste arpeggio in sequenza. ‘Killing Spree’ è un blues ancorato ai Black Sabbath, estremo, cupo e durissimo, estremamente violento che poi accelera ed esplode.

Chiude l’album ‘Nothing Is Real’, veloce e potente, con un gran lavoro di doppia cassa.

Chiudiamo anche noi: i Netherblade colpiscono duro con ‘Reborn’, dimostrando di avere i numeri e la personalità per andare oltre. L’impatto che dà il primo album è importante. Nel nostro caso la prova è superata. Aspettiamo con viva curiosità il secondo. Per ora il giudizio è altamente positivo. Bravi Netherblade!

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