Recensione: Reborn
I Darking di Piombino, attivi dal 2005, sin da quando esistono incarnano l’immagine della classica formazione senza fronzoli dedita all’heavy metal più ortodosso. Sebbene poco prolifici (due soli album in carniere, Sons Of Steel del 2010 e Steal The Fire del 2015), negli anni hanno saputo costruirsi il rispetto che si deve a chi lo merita, per spirito e dedizione espressa. Uno dal passato integerrimo come il chitarrista Agostino Carpo, già con i Domine prima maniera, del resto, è una garanzia di coerenza siderurgica.
Dal 2015 a oggi di schizzi sulla Meloria però ne sono transitati in quantità industriali ed evidentemente anche gli equilibri in casa Darking si sono modificati. Al posto di Mirko Miliani, storico frontman dei due album sopraccitati, dal 2018 vi è Silvia Bientinesi, una cantante proveniente dal circuito hard blues toscano. Il resto della formazione si assesta su vecchie conoscenze quali Leonardo Freschi, batterista fondatore del gruppo insieme con Carpo e Matteo Lupi, altro veterano, nella band dal 2008, al basso.
Reborn è il loro terzo lavoro ufficiale e vede la luce per l’inossidabile Underground Symphony di Maurizio Chiarello, si accompagna a un digipak a tre ante con delle belle foto dei singoli componenti il gruppo, nessun booklet e le note tecniche nella pagina ripiegata internamente.
Dato un curriculum immacolato come illustrato a inizio recensione è lecito attendersi dai Darking qualche inevitabile scossone provocato dal cambio dietro al microfono, con la sicurezza di tornare a immergersi nel solco della classica tradizione dell’Acciaio per quanto afferente il songwriting.
Invece…
Invece, a partire dalla title track posta in apertura, ci si trova dinanzi a un piuttosto accentuata virata stilistica sia in termini di velocità che di genere espresso tanto da far divenire Reborn il tipico lavoro che per essere assimilato a dovere richiede più e più ascolti e che in qualche modo è in grado di spiazzare, di primo acchito.
La proposta dei livornesi è ora più ragionata, meno urgente e punta alla pesantezza, tendendo al Doom. La Sacra Fiamma del Metallo in dote loro è stata semplicemente incanalata in altro modo ma si mantiene sempre ben presente e permane inscalfibile, sia ben chiaro.
Evidentissime le influenze Black Sabbath in diverse occasioni (“Reborn From Fire”, “Darking”, “A New Man”), interessante e ottimale a livello di suoni di chitarra la solenne “I Believe (In What I See)”, poi cambio di velocità in “Evil And I”, la canzone che precede l’highlight del disco, ovvero l’intensa ballad acustica “Broken Again”, splendido affresco musicale nel quale la cantante si addentra in maniera eccellente nel proprio territorio di caccia ideale, sfoderando un’interpretazione di sicuro livello. “Time To Rise”, posta in chiusura, è un doveroso omaggio ai vecchi Darking, sulla scia dell’HM in your face tipico del loro dna nella prima parte della carriera.
L’apporto di Silvia Bientinesi alla causa è assoluto e, di fatto, diviene anche il trademark dei Darking 2023. Se la sua timbrica particolare si sposa appieno a vari pezzi in certuni passaggi conferendo appeal e valore aggiunto alla proposta dei toscani, in altri paga dazio (come in “The Tower Of Babel”, ad esempio). Sta ora alla premiata ditta Carpo, Freschi & Co. distillare in futuro brani su misura per la propria cantante, così da esaltarne le doti e fornire un ulteriore nuova declinazione alla loro proposta.
Stefano “Steven Rich” Ricetti