Recensione: Recursive Definitions of Suppuration

Di Daniele D'Adamo - 13 Agosto 2021 - 0:00
Recursive Definitions of Suppuration
Band: Consumption
Etichetta: Petrichor Records
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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73

I Consumptions, relativamente da poco sulla scena musicale estrema svedese, sono un duo costituito dal polistrumentista e cantante Håkan Stuvemark (Wombbath), e dal batterista Jon Skäre.

Obiettivo dichiarato: suonare come i Carcass degli anni novanta. Il che non deve fuorviare, poiché i Nostri non sono né una cover band né tantomeno una mera scopiazzatura di quanto dato alle stampe dal più celebre combo britannico. Anche perché la classe cristallina posseduta da questi ultimi ha un valore che non può essere raggiunto da nessuno, almeno a parere di chi scrive.

Se invece si vuole osservare “Recursive Definitions of Suppuration”, disco di debutto della coppia nordeuropea, come entità a sé stante, si può scoprire un sound più che discreto. Certamente non rivoluzionario ma ottimo per ascoltare, in pieno 2021, alcuni flavour che emanava il death metal venticinque anni fa, nella sua versione incrociata con il grind. Anche perché considerare i Consumptions come una sorta di Carcass di serie B sarebbe sminuente delle buone capacità realizzative dei Consumptions stessi.

Il mastermind Stuvemark, difatti, si rivela quasi inaspettatamente – date le premesse – un ottimo musicista, in grado di arrivare a un buon livello qualitativo, sia tecnico, sia artistico. Ottima, addirittura, la sua interpretazione canora, capace di cavalcare linee vocali per nulla scontate, anzi complesse nonché involventi growling e harsh abilmente miscelati fra loro. Rilevante, pure, il lavoro alla chitarra, capace di mettere su un riffing arcigno, duro, massiccio, tagliato con il bisturi per precisione e lucentezza; cui si adagiano assoli spesso melodici. Irreprensibile l’utilizzo del basso, assai mobile nelle sue divagazioni armoniche atte sì a sostenere la sei corde ma, ma, anche, a rombare in sottofondo come una tempesta in rapido avvicinamento.

E Skäre? Semplice, dimostra che le drum machine, prima di simulare il groove di un batterista umano, devono ancora lasciare passare molta acqua sotto i ponti. I pattern si mostrano agili e piuttosto complicati, risultando perfettamente intelligibili anche quando si sfonda la barriera dei blast-beats.

Pure il songwriting si mostra tutt’altro che scarso, proponendo un insieme di canzoni compatte come il granito ma allo stesso tempo mobili e dinamiche. Si può anche dire riuscito l’innesto del grind sul death metal di base, non essendo mai preponderante a un gustoso sentore di marcio, esattamente quello che ci si aspetta dal death stesso, versante old school ma non troppo. Come più su accennato è presente la melodia ma in maniera quasi impercettibile se non durante qualche ricamo d’acciaio della lead guitar.

È chiaro che i Consumptions, per… auto-definizione, non apportano nulla di nuovo alla Storia del death, tuttavia è encomiabile la loro determinazione nel sedersi al tavolino per creare un qualcosa che non lasci nulla al caso; nella ricerca certosina di suoni vintage che rimandino a qualcosa esistito in un passato glorioso, anche se non troppo lontano.

Quindi, in definitiva, “Recursive Definitions of Suppuration”, oltre a vivere di vita propria, può essere apprezzato sia dai nostalgici, sia da coloro che approcciano l’enciclopedia del death metal per le prime volte, giusto per avere un’idea di chi fossero, cinque lustri fa, i migliori e i più innovativi alfieri del genere della morte.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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