Recensione: Reign in supreme Darkness

Di Tiziano Marasco - 10 Giugno 2019 - 0:00
Reign in supreme Darkness
Band: Vargrav
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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70

Secondo album per Vargrav, e già dal monicker possiamo capire dove stiamo andando a parare, più o meno. Varg, come tutti sanno, significa infatti lupo in svedese e norvegese. Esatto, black metal. Una one-man band black metal? Esatto pure questo, anche se va notato che il titolare del progetto, al secolo V-Khaoz è un finlandese dell’hinterland di Helsinki.

Detto questo, va rilevato che il debut di Vargrav, “Netherstorm”, aveva fatto parlare di sé, dunque a questo nuovo “Reign in supreme Darkness” spetta il compito di bissare le buone impressioni suscitate dall’opera prima. Bisogna dire che, in prima battuta, “Reign in supreme Darkness” conferma eccome. Si parte con un ottimo intro orchestrale che riporta alla mente, per certi versi, quello di “Puritanical euphoric Misanthropya” dei Dimmu Borgir.

Ancora meglio va con la prima traccia vera e propria, ‘The Glory of eternal Night’: una botta di pura violenza black, sorretta da chitarre velocissime e dal tipico scream che ogni tanto lascia spazio a dei cori di sottofondo che, non saprei dir perché, mi ricordano qualcosa dei Falkenbach. E di fatto, tutto il disco segue questa falsa riga, regalandoci altre sei tracce di black feroce, di chitarre in tremolo picking e di urla selvagge (i cori purtroppo non si sentiranno più). Un disco compattissimo e con buoni riff che non dà un attimo di respiro.

Bisogna però dire che, col progredire degli ascolti, mostra un po’ la corda, sebbene le buone impressioni dei primi ascolti rimangano. In effetti il lavoro, alla lunga, mostra alcuni difetti. Al di là dei nomi fatti in precedenza, di fatti, l’album mostra ben presto di essere pesantemente debitore di una sola band – gli Emperor. Posto che somigliare agli Emperor è tutt’altro che una critica (anche perché ci riesce piuttosto bene), ogni tanto il senso di già sentito risulta un po’ eccessivo. Oltre a ciò, quasi tutti i cambi di ritmo si riducono in un “dal veloce al velocissimo”. I break sono pochi e passano inosservati.

Sicché “Reign in supreme Darkness”, al netto di pezzi che presi singolarmente risultano parecchio coinvolgenti, finisce per stancare e risultare monotono, perché ‘sti pezzi son tutti un po’ troppo uguali. In definitiva, questo nuovo lavoro di Vargrav potrebbe essere considerato un ottimo disco di black classico prodotto e suonato nel 2019, ovvero con una pulizia e un’attitudine che poco ha a che spartire con quello originale. Risulta indiscutibilmente migliore dell’80% delle relase di genere attuali, anche grazie alle tastiere che rendono il suono un po’ più atmosferico. Tuttavia, al di là di un buon livello compositivo, quello che manca è la capacità di sfruttare al meglio i cambi di ritmo. Non male comunque, ma speriamo in ulteriori miglioramenti futuri.

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