Recensione: Reluctant Hero

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 20 Novembre 2020 - 11:48
Reluctant Hero
75

Nei variegati talenti che l’uomo è in grado di offrire, ce n’è uno in grado di colpire emotivamente in uno stretto giro di sillaba e capace di palesare, in un semplice respiro, coraggio, forza, creatività, passione, emozioni e meraviglie che percuotono più forti di un pugno sia i singoli che le collettività. Questo è il talento della “parola”. Quindi troviamo parole che si emancipano dal loro significante e significato per ergersi a zenith di parabole umane e professionali.

Parole e parabole umane. Correva l’anno del Signore 1987 e nello specifico era il 20 febbraio, apparentemente una sera come tante nelle case degli italiani, ma davanti alla televisione in milioni erano posizionati ed emozionati per rivedere dopo anni in onda uno dei grandi protagonisti dell’epoca, un personaggio tenuto ingiustamente lontano dagli schermi per una torbida vicenda giudiziaria, ma che era pronto per il suo climax. Gli italiani erano desiderosi di rivedere in tv Enzo Tortora, alla guida della sua trasmissione Portobello, ma non erano pronti per il discorso che il noto conduttore e giornalista (e tanto altro) pronunciò. Una manciata di minuti che incenerirono tutti, nessuno escluso, parole pesate, pensanti e pesanti, parole pronunciate in modo impeccabile, con un tono e con le pause del grande attore teatrale che ha eroso i palcoscenici di tutto il mondo e che in un attimo attraversarono trattati di Teologia, di Filosofia Morale e di tutto lo scibile umano, e che traghettarono dal nord al sud dell’Italia riflessioni probabilmente avulse dal pensare collettivo, almeno fino a quel momento. Il discorso di Tortora si aprì con queste iconiche parole che sono rimaste impresse e che saranno indelebili: “Dunque, dove eravamo rimasti?”

Una frase inequivocabile, usata allora, e utilizzata ancora adesso, per rimarcare la ripresa di un qualcosa da dove si era interrotta ed è proprio questo il pensiero che si materializza nella mente ascoltando le primissime note dell’album Reluctant Hero del progetto Killer Be Killed che vede impegnati, tra gli altri, Max Cavalera. Questo perché l’orecchio non può non notare un attacco nel classicissimo mood dei Sepultura o dei Soulfly. Una forma tanto cara al musicista brasiliano, di origini italiane, che caratterizza ogni suo progetto o partecipazione.

I Killer Be Killed nascono nel 2011 allorquando quattro musicisti uniscono le loro forze per trovare un nuovo vertice (a proposito di parabole) creativo per poter risalire e imporsi come una forza nuova nel panorama del Metal mondiale. Attualmente la band è composta, oltre che dal già citato Cavalera alla chitarra e alla voce, anche da Greg Puciato (chitarra e voce), Troy Sanders (basso e voce) e Ben Koller (batteria). È lapalissiano che ognuno di questi musicisti sia attivo in altri progetti musicali, così come è evidente una particolarità del gruppo: tre elementi su quattro prestano la loro voce alla causa della band. Questo aspetto si traduce in bellissime e particolari melodie vocali che rappresentano il comune denominatore di tutto Killer Be Killed. La particolarità delle voci è conferita proprio dal non aver affidato a un singolo le parti cantate e probabilmente, se così fosse stato, sarebbe stata palese l’aderenza dei brani ai progetti concomitanti del combo statunitense.

Questo secondo album del “supergruppo” (così come qualcuno lo ha modernamente e forse generosamente definito) si caratterizza per la forte presenza di echi che arrivano direttamente dai Sepultura, dai Soulfly e dai Mastodon, ma qui si svecchiano, tendono mani a orecchi a un Metal più moderno, per certi aspetti con pregnanti interferenze Industrial, e che in qualche passaggio possono ricordare i Soilwork.

Che il progetto, studiato abilmente a tavolino, miri a un prodotto di qualità, lo si intuisce subito osservando la copertina, bellissima, elegante, profonda, evocativa, artistica e senza fronzoli a metà strada tra un brunaille tipico dei monasteri cistercensi e un netto chiaroscuro, tendente più all’oscuro che al chiaro. La sensazione di un qualcosa confezionato con competenza e maestria è confermata anche dal mixaggio a cura di Josh Wilbur già attivo, tra gli altri, con i Megadeth, i Lamb Of God, ecc.

I Killer Be Killed hanno compreso che in un genere forte e violento, la melodia è comunque un elemento importante per rendere la musica piacevole, ascoltabile e apprezzabile sin dal primo ascolto. Prova esemplare di questo è il primo brano, nonché primo singolo dell’album, Decostructing Self-Decostruction che vede la voce evolversi in una melodia bellissima e un assolo di chitarra molto integrato e ben incastonato nell’economia dell’intero brano. Un brano velato da un qualcosa di elettronico e capace, sin dall’inizio, di far ascoltare un testo interessante, infatti il brano si apre con “I close off the madness /Black out the unseen / All static I ignore / Cease sending through the feed”, per poi continuare con un esistenzialismo puro racchiuso in queste parole: “Live as if you might never die”. Di sicuro lemmi non originalissimi, ma assolutamente in linea e coerenti con quella violenza e rabbia che il gruppo vuol far uscire prepotentemente.

Si è fatto menzione dell’apertura della band a forme più moderne di Metal, però durante l’ascolto le origini non vengono tradite, infatti in alcuni passaggi, tipo nel finale del brano From A Crowded Wound o nel successivo The Great Purge, risalgono tutti i rigurgiti del vecchio Metal declinato al Thrash old school. Quest’ultimo brano, nella sua parte iniziale, rende tributo a un gigante del panorama Metal mondiale, quel Warrel Dane prematuramente scomparso e che ha lasciato detriti e ferite ancora aperte nel suo mondo e che qui risorge per pochi istanti richiamato dalla voce che ricalca pienamente il suo stile; piace pensare che questa non sia una mera coincidenza, ma una volontà precisa della band. Come sarebbe bello un pentagramma con più musicisti ancora in vita e che tanto avrebbero potuto dare, ma questo è un Dream Gone Bad, un sogno andato storto, proprio come cantano i Killer Be Killed nella seconda traccia dell’album intitolata proprio così. Una seconda canzone con un testo bellissimo, struggente ed emozionante, si pensi almeno a questo passaggio: “Never too late / Time to Turn it all around / Never too late / And you’ll never walk alone / Never walk alone // You always know where you are / Into yourself / Into forever / Walk into the light”.

Inserendo il cd nel lettore arriva subito l’opener Deconstructing Self-Destruction, il singolo uscito il 4 settembre 2020 con un visualizer video, e questa canzone è per certi versi un biglietto da visita piuttosto rappresentativo e che ha al suo interno tutti gli elementi del sound della band. Greg Puciato è in gran forma, seppur sin dalle prime note del disco si avverte quella strana sensazione di “artefetto” e di “corretto”; similmente a quella stessa sensazione che traspare un po’ nelle produzioni attuali: chitarre iper-definite acusticamente (e trattate) e quasi sempre impersonali, batterie gonfie, ma con delle parti vocali impossibili da replicare in sede live (sia a livello tecnico che a livello di quantitativo). Come per il disco precedente, e come già anticipato, il platter in questione è stato prodotto e mixato nel sud della California da Josh Wilbur. Tornando ai suoni di batteria c’è poco da dire: corposi senza dubbio e bilanciati in un mix che funziona alla grande. Ben Koller picchia come un forsennato, la sua attitudine è invidiabile e contribuisce a creare quel wall of sound che accompagnerà per tutta le release e che si caratterizza da cassa in ottavi nello start e groove di prepotenza. I giochi di rullante durante il solo sono perle che fanno capire da subito il livello altissimo di esperienza dietro le pelli. Assolo sintetico, melodico e alquanto azzeccato nell’economia del tutto, molto godibile soprattutto la reprise.

Si cambia subito il tiro con Dream Gone Bad caratterizzata da inneschi e feedback tra le chitarre e subito c’è un intro di potenza supportato dall’onnipresente Ben Koller. La strofa è opera di Troy Sanders e il chorus divinamente prende forma: molto originale e fresco nelle lead vocals, questa volta della controparte Greg Puciato. Il change al minuto 2:00 è di grande effetto e per chi scrive questo brano si rivelerà uno dei punti più alti dell’intera produzione (e secondo singolo uscito questa volta con un videoclip di tutto rispetto i primi di ottobre), non in termini canonici (non è per intenderci il brano della vita), ma dimostra quanto con poche idee (e anche molto distanti tra loro) questi quattro veterani del metal riescano a tirar fuori qualcosa di veramente “oleato” e fuori dal comune. Il bridge è a opera di un Mr. Cavalera infuriato con “My reflection in front of me Staring into my hardened soul I am my worst enemy, Life is killing me” e il cerchio si chiude con un finale al fulmicotone. La canzone presenta una fusione di timbri vocali (e non solo) davvero ben studiata e come poche in circolazione; inoltre, come già scritto, nei versi “Hear the calling when earth and sky will fold” c’è del magico.

Altro momento di chitarre in larsen e comincia Left Of Center, il primo episodio fino ad ora dove Greg Puciato e Max Cavalera alle ritmiche riescono a farsi ricordare per dei riff un po’ più complessi del solito e di grande fattura e impatto emotivo in Do minore (costruzione diatonica ascendente). Il chorus è trascinante e il change nel bridge presenta incastri raffinati e non banali. Questi ultimi (i bridge) sono molto curati dai Killer By Killed, creano spazio all’interno della song di turno e al contrario di molti artisti non vengono usati come “riempitivo”, ma hanno un’importanza di gran lunga superiore. Superlativa al microfono la prestazione del trio Sanders-Cavalera-Puciato: la vera chiave di lettura del disco sta proprio qui.

Inner Calm From Outer Storms ricorda qualcosa dei Nine Inch Nails durante l’attacco, un brano che scorre molto velocemente soprattutto per via della sua struttura articolata. Nel finale c’è poco spazio per le inezie e tanta violenza da far invidia a chiunque.

La violenza mai si spegne in questo disco e la prova è data dal brano successivo Filthy Vagabond che parte spedito con un incipit raro. Il chours simil Offspring-Style (quelli di Smash del 1994 per intendere), ma poco importa perché, ove possibile, il pogo è assicurato. Piuttosto infelice il solo, non si va a sindacare sull’uso delle specifiche note, ma sembrerebbe piuttosto sottotono e poco convinto nel suo insieme. Durante l’ascolto si nota nell’atmosfera del brano qualcosa dell’inconfondibile cantato di Ozzy.

From A Crowded Wound si fa apprezzare per il sound nudo e crudo della sei corde in palm muting “stand alone” durante l’intro. Un lavoro, questo, dove il suddetto strumento non emergerà praticamente mai, se non nel tentativo di creare muri di suono violentissimi. Un lavoro forse più nobile di quel che siamo abituati a pensare e che rappresenta comunque uno standard per chi segue questi musicisti nelle rispettive band di appartenenza. Il basso di Troy Sanders è presente, ma non molto in evidenza, a conferma di quanto detto riguardo alle chitarre. Mid tempo nella strofa con sonorità anni ’90 in stile Alice in Chains per gli intrecci di voci e le parti sui tom. Un brano davvero inaspettato, articolato nella struttura quanto basta affinchè si possa amalgamare perfettamente all’interno di questo Reluctant Hero.

The Great Purge parte in modo solenne con un intro efficace e serrato che cela un verse al limite della ballad, ma questa sensazione dura poco, perché poi l’evoluzione della canzone conduce dalla parte opposta. Il brano più atmosferico è sicuramente questo, notevole prova camaleontica del quartetto con sonorità “Seps” spiccate in un brano ispirato al Grande Terrore di Joseph Stalin.

Comfort From Nothing risulta un po’ sottotono rispetto a quanto ascoltato fino ad ora. Non un calo vero e proprio, si intende, ma probabilmente meno densa delle altre performance e che vive di luce riflessa.

Animus è il ritorno alla violenza sopradescritta. Il drumming di Ben Koller è un cingolato in picchiata, dura tanto quanto basta per schiantarsi e lasciarci a bocca aperta dopo solo 1:07 minuti.

Lo stesso Koller dà il quattro sul charleston ed eccoci a Dead Limbs. il chorus è molto pop e forse un po’ scollato rispetto al resto. Il risultato è comunque godibile e scorrevole. Anche il bridge è di spessore. Si ascolta molto pathos dal minuto 2:04 in poi, senza dubbio l’esperienza in fase di composizione da parte dei nostri dà modo di sterzare verso altri lidi musicali (e qui nuovamente riferimenti agli Alice In Chains, ma questa volta quelli con William DuVall). Reprise e via con la conclusiva Reluctant Hero.

La title track è dunque servita per ultima, come spesso accade per gli artisti più disparati. Una ballad vera e propria questa volta, con un semplicissimo eppur bellissimo giro di chitarra crunch in Si bemolle minore. La strofa si poggia su toni vocali bassissimi perché si punta al lato emozionale e i quattro musicisti ci riescono molto bene. Il drumming è incalzante e il break precedono il groove centrale in pieno stile Killer Be Killed. Le armonie vocali si intrecciano per il finale, si sommano e danno via a quello che è il “finale più giusto” per questo disco. Cuore, violenza e tanta sapienza.

I Killer Be Killed riescono a confezionare un album in linea con le loro peculiarità, ma che punta con dignità in modo centrifugo verso altri orizzonti; un disco piacevole da ascoltare e che potrà accontentare le esigenze di varie categorie di ascoltatori. Emerge in molti passaggi del disco una vena nostalgica e malinconica e questa caratteristica conferisce originalità a un disco tutto da ascoltare.

 

Ultimi album di Killer Be Killed