Recensione: Renaître de Ses Fanges

Dopo quattro anni di silenzio gli svizzeri Borgne tornano sul mercato con il loro undicesimo full-length, “Renaître de Ses Fanges“, per proseguire, nell’oscurità del black metal, con lo sviluppo di una progenie che ha avuto il suo inizio nel 1998.
Per essere più precisi, trattasi di industrial black metal. Una definizione che prende spunto proprio dalla fine anni novanta / inizio nuovo millennio, quando l’industrial metal à la Fear Factory ha cominciato a contaminare un po’ tutti i generi e sottogeneri del metallo più oltranzista.
Ora, con il passare del tempo e il miglioramento della tecnologia informatica, l’introduzione sempre più massiccia dell’elettronica ha condotto il metal in generale a essere, più o meno a seconda dei gusti dei musicisti, culla di manifestazioni sintetiche che hanno prodotto un’innegabile spinta evoluzionistica in avanti.
Situazione che, però, non tocca più di tanto Bornyhake (voce, tutti gli strumenti) e Lady Kaos (tastiere), duo che forma la sostanza, appunto, dei Borgne. E questo perché l’amore per la drum machine – irreprensibilmente programmata – nonché per il dark ambient, tipo i connazionali Darkspace, per intendersi, è insito nel loro DNA sin dalla nascita. Con il risultato, anzitutto, che il sound dell’album è perfetto per descrivere la misantropia che trapassa come un fioretto il cuore della coppia di Losanna. Sound perfetto, insomma, per delineare, anche, quali siano i dettami di base dell’ormai famigerato industrial black metal.
Fra i quali c’è il rispetto della massima furia devastatrice possibile in materia di violenza sonora. L’aggressione è spasmodica, brutale, assassina, facendosi forza dell’instancabile batteria che divora anni luce di blast-beats, trascinando con sé, come se fosse un’astronave del quarto millennio, il resto della strumentazione. Così facendo, l’impatto complessivo è mostruoso, devastante, tale da annichilire gli atomi che trasportano le onde acustiche dall’orecchio al cervello.
Accanto a questi momenti di follia pura, ci sono anche numerosi break in cui il ritmo rallenta rapidamente, al fine di scatenare la forza visionaria posseduta dalla proposta musicale dei Nostri. Davanti agli occhi, allora, si spalancano città dalle dimensioni incommensurabili, tracciate da grattacieli alti chilometri. Città eternamente buie, illuminate soltanto dalle luci artificiali e nelle quali la pioggia batte con raggelante continuità.
Purtuttavia c’è vita, anche se nascosta agli occhi delle macchine che dominano la Terra. E c’è vita anche in “Renaître de Ses Fanges“, seppure celata fra le spaventose accelerazioni che sconquassano lo stile caratteristico dei Borgne, peraltro narrato dall’agghiacciante screaming di Bornyhake espresso in lingua madre e cioè in francese. Quasi a rendere più evidente la voglia degli stessi Borgne di scavare, scavare, scavare nella carne per arrivare nel profondo dell’anima. Dove, inequivocabilmente, pulsa la vita a livello primigenio.
L’effetto lisergico, che si propaga nello Spazio a partire dall’opener-track “Introspection du Néant” sino a raggiungere la closing-track “Royaumes de Poussière et de Cendre“, è ancora di più scatenata da inquietanti orchestrazioni che, oltre a rendere il suono bello pieno, ne definiscono maggiormente i dettagli, quasi ad apparire come realtà. La melodia, applicata nel disco grazie alle tastiere di Lady Kaos, seppure presente ma non in maniera massiccia, ha un aspetto arcano, alieno, tale da rendere l’ascolto dell’LP davvero immersivo.
Insomma, per dirla tutta i Borgne fanno quasi paura, con la loro allucinata interpretazione della realtà quando sarà futuro. Il che dà loro dignità per aver saputo realizzare un’opera dall’intensa personalità e dalla considerevole longevità. “Renaître de Ses Fanges” è, in fondo, un viaggio fra le stelle dell’Universo ma, anche, un’esplorazione dei sentimenti umani più intimi e reconditi.
Daniele “dani66” D’Adamo