Recensione: Revolutionary Cells

Di Giuseppe Casafina - 30 Novembre 2015 - 12:43
Revolutionary Cells
Band: Distillator
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2015
Nazione:
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72

La furia dell’underground colpisce ancora e questa volta lo fa a colpi di thrash metal.

Dal fitto sottobosco del panorama metallico spuntano fuori questi Distillator, tre energumeni in gilet di toppe originari dei Paesi Bassi che la lezione del thrash anni’80 l’hanno imparata bene, talmente bene da risultare, già all’esordio, come una ensemble capace di realizzare una proposta di un certo spessore.

Ma non è una novità ormai, che il sottosuolo dell’estremo urli strisciante di voglia di rivincita, di farsi sentire: il metal ha bisogno di un ricambio generazionale, ammettiamolo, ed ora non mi sbilancio su discorsi sull’originalità perché credo che ormai tutto sia già stato inventato a meno che di non imbatterci in gruppi autori di sperimentazioni talvolta improbabili….alla fine, la cosa che conta veramente oggi, è quella di fare bene quello che si è capaci di fare senza uscire fuori dai ranghi di quello che si sente veramente.

E questa potrebbe essere una chiave di lettura ideale per questo simpatico power-trio: i Distillator suonano thrash metal, ne più ne meno, reinterpretando come meglio li riesce un copione dove molti altri hanno fallito. Ed appunto, non avendo la pretesa di lanciarsi in chissà quale sperimentazione, i tre eroi hanno vinto la scommessa da molti di punta di vista, per il puro e semplice motivo che, appunto, suonano convinti su un terreno che hanno ormai fatto loro come il sangue stesso scorre nelle vene dell’essere umano.

Poco o per nulla originali? Andiamoci piano, “Revolutionary Cells” non passerà certo alla storia per essere stato il disco thrash metal che porterà nuova linfa vitale al suddetto genere però di sicuro è un platter capace di emozionare e fomentare non poco chi, come i Distillator stessi, vive convinto una vita all’insegna del thrash metal più incontaminato ed i tre, a loro modo, arricchiscono non poco la loro passione brulicante di linfa vitale con tanti piccoli spunti personali che, di certo, male non fanno.

 

Il disco si apre con la rullata introduttiva di “Guerrila Insurgency” ed è subito un gran bel sentire, soprattutto se siete dei veri patiti del genere estremo anni ‘80 per eccellenza, vale a dire il thrash metal: colpisce subito la prestazione vocale maiuscola del vocalist/chitarrista Desecrator, per grinta e ferocia, colpisce il riffing sicuramente non esattamente originale ma con numerosi picchi di personalità che non di rado emergono con prepotenza tra i numerosi riff presenti. Incisivo anche il lavoro di basso, dal suono bello rullato e pestone come da buona tradizione ‘thrasheggiante’, così come è incisivo l’operato percussivo apportato dal batterista, per una sezione ritmica che di sicuro colpisce dritta allo stomaco già su disco (quindi figuriamoci dal vivo).

La produzione è molto pulita e moderna, ma questo non significa che il tutto suoni plasticoso ed iper-prodotto, il suono complessivo rimane naturale con quella giusta enfasi sulle frequenze alte che ci dona appunto quella definizione aggiuntiva che di questi tempi di certo non guasta: il disco suona quindi “attualmente retrogrado” facendo sfoggio di soluzioni di resa più attuali ma abbinate ad un suono di base e delle scelte produttive (come l’intenso delay applicato alla voce, un trick produttivo estremamente ottantiano) decisamente retrò.

Nel frattempo che scrivo queste parole, il brano si arricchisce di pregevoli assoli del già citato chitarrista/cantante, dal piglio funambolico, a tratti realmente impazzito senza però mai rinunciare a della sana melodia (scordatevi gli assoli rumorosi in stile Slayer, quindi) e che vanno ad esaltare un lavoro di chitarra ritmica sicuramente ispirato quanto basta (decisamente ancorato agli stilemi della scuola thrash tedesca, Destruction su tutti) per non sfigurare nel plagio….perchè alla fine, chissenefrega no?

Qui vogliamo ascoltare thrash metal e le sonorità sono quelle giuste, il tiro dei tre simpaticoni in gilet è spaventoso per intensità e feeling mentre i brani scorrono tutti veloci pur non essendo brevi (solo l’intermezzo strumentale di “Death Trip” mi suona un po’ ridondante in quanto portato troppo sulla lunga, ma alla fine si tratta di un singolo momento e la storia ha fatto passare ai suoi poster dischi dotati di difetti ben più onnipresenti e penetranti) e così, in men che non si dica, sarete già arrivati alla fine del disco schiacciando nuovamente play e poi via, si ricomincia per un altro viaggio tra le liriche a tema socialmente violento della band e le varie scorribande di terrore (su cui aleggia un clima da guerriglia anarchica come da tradizione anni ’80, ma dai temi e contesti decisamente più attuali) descritte dai brani non potranno altro che scatenare in voi la voglia di far fuoriuscire tutta la rabbia accumulata nel tempo a causa di questo sistema corrotto del c….ehm, ci siamo capiti no?

 

Tutto il disco scorre benissimo come già accennato e non ha cali di tensione, sfoggiando un tiro convincente dalla prima all’ultima nota: non rivoluzionario a livello prettamente musicale ma rivoluzionario nei contesti lirici espressi, il disco si completa di un artwork dalle sfumature fumettistiche che ben si adatta al climax generale e si candida di sicuro come uno dei dischi thrash metal più riusciti dell’anno.

I brani sono tutti dotati di una caratteristica peculiare,  di un riff oppure un momento che caratterizza i singoli episodi che si ripete nelle fasi che i brani stessi richiedono, senza rinunciare alla varietà e nel caos generale spiccano “Saturation Bombing” (che spicca universalmente su tutti), “Shiver In Fear” oppure “Bloody Assault” ma ciò è unicamente una forzatura, dato che come già detto ogni brano ha le sue caratteristiche peculiari e la cosa alimenterà di sicuro di molto la mutabilità delle liste di preferenza di ognuno di noi. Via via che si ascolta, la derivabilità di alcune soluzioni va scemando a favore del piglio generale che ascolto dopo ascolto cresce di intensità, un qualcosa di veramente notevole per un ensemble all’esordio.

In queste registrazioni vi è incisa una carica che altre formazioni nettamente più famose (non faccio nomi anche se è irresistibile, ma mi tratterrò) oggi cercano invano di recuperare: forse perché nel 2015 serve gente che riviva quello spirito giovine che fu a suo modo, serve gente come i Distillator.

Non epocale, ma furiosamente bello: l’acquisto* è caldamente consigliato.

Vecchia scuola, ma fatta bene.

 

* NOTA D’AUTORE – La mia copia del disco, acquistata direttamente dal loro store ufficiale, aveva al suo interno tre sticker in omaggio di cui uno autografato dalla band stessa: non avete idea di quanto mi abbia esaltato questa piccolezza….permettetemi questa piccola, ma incisiva, nota personale.

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