Recensione: Satanic Slavery

Di Daniele Ruggiero - 15 Maggio 2017 - 6:00
Satanic Slavery
Band: Necrowretch
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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78

Quando il diavolo affina le proprie armi di seduzione diventa terribilmente difficile resistere a tali tentazioni. Stiamo parlando del nuovo lavoro dei Necrowretch, prodotto dalla Season Of Mist, dal titolo più che esaustivo: “Satanic Slavery”.

É l’ennesima convincente prova, la terza per essere precisi, che il trio transalpino sforna nel giro di quattro anni perfezionandosi ulteriormente in termini di composizione. I Necrowretch attingono i loro artigli nella pozza primordiale di un sangue death old-school mai rappreso che sgorga dalle profondità del passato. Un liquido purpureo nel quale i Nostri iniettano putridi ingredienti black che reagiscono magnificamente tra loro generando diabolica adrenalina.

“Satanic Slavery” è un disco equilibrato, che sin dalle prime note va dritto al sodo: blast beat atroci e martellanti coincidono con i graffi profondi e veloci che il demone francese sferra in ogni direzione. Il suono delle chitarre scaturisce da un trash acerbo per evolversi in un sound pulito, compatto e trascinante. La ritmica è densa di malvagità che, come un treno, corre in un’unica direzione senza toccare mai il freno; il rischio è quello di deragliare in luoghi comuni ma i Necrowretch sanno il fatto loro, ‘Evil Names’ ne è la dimostrazione. 

Alle crude lesioni, provocate dal death affilato, si aggiungono gli aghi tormentati di un black che si materializza in assoli pungenti e penetranti. Il cantato di Vlad rasenta l’atrocità: brutale, graffiante e teatralmente perfetto raggiunge picchi di cattiveria davvero esaltanti come accade in ‘Course Of Blasphemy’.

Sono tangibili le influenze sonore dalle quali il terzetto di Valence si è fatto stregare: il solido death-black svedese ha fatto breccia nel cuore dei nostri ragazzi che hanno avuto le capacità di impossessarsene senza stravolgerne i canoni, ma aggiungendovi elementi di modernità.

Quaranta diabolici minuti esplodono in un fragore eccitante che rispecchia un ammutinamento di anime castigate tra le fiamme a vendicarsi di tanto tormento. Un momento di ribellione, di pura anarchia, di totale follia aggrappata alle perfide sonorità degli otto formidabili brani. 

Non c’è cosa peggiore che credersi liberi all’inferno, Satana lo sa e sorride volgendo lo sguardo compiaciuto alla sua immensa “Satanic Slavery”.

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