Recensione: Shipwrecked in Oslo

Di Daniele Balestrieri - 5 Novembre 2006 - 0:00
Shipwrecked in Oslo
Band: Arcturus
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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86

“Arcturus, la terza stella più brillante del firmamento notturno,
si abbatte sulla terra questa notte, 17 settembre 2005. I pirati del cosmo emergono dal loro vascello siderale e illuminano i cieli di Oslo, Norvegia, terra dei loro padri.”

Si introduce da solo in questo modo il primo DVD della storia degli Arcturus, composto dalla registrazione di un intero concerto tenutosi al Rockfeller di Oslo, nell’ambito del Sonic Solstice festival.
Fino a tre anni fa un concerto del genere sarebbe stato un evento sensazionale, dal momento che gli Arcturus sembravano essersi dissolti nell’aria per anni, spariti da ogni scena live e musicale. Poi, nel 2003, in uno storico Hole in the Sky al Garage di Bergen, abbiamo ritrovato degli Arcturus rinnovati e più intraprendenti che mai, forti anche dell’apporto vocale di Vortex, rimpiazzo di Garm, e di un distruttivo Hellhammer alle pelli.

Ritrovata anche una certa sicurezza concettuale grazie a una compiacente Season of Mist, gli Arcturus hanno proseguito il loro viaggio siderale con l’acclamato Sideshow Symphonies che li ha portati con sicurezza a calcare le strade della loro città natìa, Oslo.
Un’inquadratura alle cime del palazzo reale, un’inquadratura alle fontane della Karl Johanns Gate, un’occhiata al “Brunost”, come viene ironicamente chiamato il municipio di Oslo, e presto le telecamere si gettano nel buco del Rockfeller dove gli Arcturus scateneranno 14 canzoni prese da quasi tutta la loro discografia, e si destreggeranno in tre assoli di pregio e di gran valore catartico, specie posizionati come sono a cavallo di alcuni dei momenti più emozionanti dello show.

Ormai chiunque conosca gli Arcturus sa bene che razza di esperienza possono essere in grado di liberare: inisieme a Solefald, Dødheimsgard, Borknagar e quant’altro sono in testa alla corazzata ultraprogressista norvegese che in questi ultimi anni sta esplorando le profondità siderali della musica (partendo tutti dallo stesso luogo – quel black metal che ha generato talenti riconosciuti all’unanimità dalla scena attuale) spingendo la propria arte al limite del possibile.
Proprio quest’eclettismo totale ha portato la band di Oslo a creare uno show indimenticabile, trascinato dai capolavori contenuti in Sham Mirrors e sulla Masquerade Infernale.
Il loro viaggio inizia dalla terra, mentre tra una traccia e l’altra un’astronave compie un viaggio ideale dal nostro pianeta fino a Madre Arcturus, toccando tanti corpi celesti quante sono le canzoni in corsa. Il palco è stretto, Hellhammer è gomito a gomito con Sverd mentre Valle, Mingay e Moren vagano sulle ali lasciando Vortex di fronte alla folla inferocita dalle maschere diaboliche e grottesche che veste ogni singolo membro della band.
Le danze – è proprio il caso di dirlo – hanno inizio con la stella di Sham Mirrors, “Ad Absurdum“, e subito l’atmosfera si fa inquieta e malata mentre Vortex si avvicina al microfono ondeggiando come una marionetta senza fili: inizia il tormento che durerà un’ora e mezza e trascinerà gli ascoltatori in un viaggio di rara bellezza, per fortuna immortalato per sempre in questo piccolo disco contenuto in una finissima, sobria e asettica confezione di alluminio.
Sul palco presenziano immediatamente due arlecchini, due buffoni maligni e inespressivi l’uno il gemello specchiato dell’altro che danzano, cadono e si rialzano come manovrati da una mano folle, perfettamente in sintonia con le melodie tetre e agghiaccianti dei lavori centrali della band.
Vortex non sfigura di un grammo nel paragone con l’immenso Garm, e riesce a modulare la sua voce per riprodurre le evoluzioni degli album precedenti con una semplicità tale da renderlo, senza dubbio, uno dei cantanti migliori disponibili sulla scena norvegese. Ma è con “The Chaos Path“, punto di luce di Masquerade Infernale, che lo show diventa circo, ed eleva oltre ogni dire l’esperienza visiva del concerto.
Aperta la canzone il parco si riempie di macchiette torbide e malsane, come una ballerina in sovrappreso che danza spensierata con uno scheletro, o una ammaestratrice che tenta di far ballare uno yeti, una psicopatica con dei palloncini in mano, o un prestigiatore accompagnato da una seducente ballerina del ventre che lascia spazio a un sollevatore di pesi con scarso potere di autocontrollo. Indipendentemente da ciò che accade, la band indisturbata continua a mandare avanti la mortale marcia di Chaos Path mentre alle spalle di Vortex, nel piccolo palco circondato dai musicisti, si consumano omicidi, salvataggi, violenze, litigi, tentati stupri e atti di dolcezza nutriti dalla cecità mentale di cui solo un gruppo di folli sarebbe capace.
Accettando un palloncino nero con il simbolo della morte dalla timida venditrice di palloncini, Vortex accetta per un attimo di percorrere il sentiero del caos di cui canta per la prima volta, dopo il passaggio del testimone di Garm.
E la follia prosegue sotto le calde note di “Deamon Painter“, motivo conduttore dell’intera opera e colonna sonora scelta per il menu del DVD, oppure eslode con la folle “Hufsa“, chiusura malandata di Sideshow Symphonies.
Le telecamere svolgono un lavoro più che egregio nel sottolineare, spesso con inquadrature ardite, la follia che dilaga sul palco, mentre il sonoro – rimaneggiato in Dolby 5.1 – è all’altezza della pubblicazione.
Il lavoro di editing è superiore alla norma di questo genere di uscite, e la grafica è elegante, minuziosa e ben mischiata con l’ambiente siderale di stile Arcturus. C’è da dire che, alcune volte, le sovrimpressioni del logo degli Arcturus durante le canzoni durano un po’ troppo e infastidiscono la visione. Niente di particolarmente eclatante, ma potevano renderle un tantino più sobrie, specie se spezzano alcuni dei momenti più interessanti di canzoni culto come “Reflections” o l’avanguardistica “Shipwrecked Frontier Pioneer“.
L’esperienza si arricchisce grazie anche a dei piccoli fuori programma come uno splendido assolo totalmente ambient di Moren che sembra uscire dai Neptune Tower – provare per credere! – e da un assolo di tastiera ancor più intrigante di quelli di corde.
Il menu, leggero e intuitivo, offre inoltre tre bonus aggiuntivi: una carrellata di foto scattate la stessa notte, un video musicale e un servizio girato durante le prove in una sala sperduta in un boschetto norvegese – una cosa che mi ha ricordato molto da vicino il servizio contenuto all’interno di Epic dei Borknagar. Il tutto, come già detto, incastonato all’interno di una pregevole confezione metallica e dotata di un libretto con tanto di mappa del viaggio stellare e tracklist.

Difficilmente si poteva chiedere di meglio dagli Arcturus del 2006. Nessuna collezione di concerti vari, nessuna spezzettatura di video e interviste: Shipwrecked in Oslo è un viaggio stellare completo, dalla partenza all’atterraggio, di grande spessore artistico.
Se qualche fan era ancora indeciso sull’acquisto, vada a colpo sicuro: dai distributori americani la limited in metallo si riesce a trovare per 11$. Cosa sono 11$ per un piccolo pezzo di storia dei live norvegesi?

TRACKLIST:

   1.  La Masquerade Infernale
   2. Ad Absurdum
   3. Nightmare Heaven
   4. Shipwrecked Frontier Pioneer
   5. Alone
   6. Deception Genesis
   7. The Chaos Path
   8. Deamonpainter
   9. Nocturnal Vision Revisited
  10. Painting My Horror
  11. Hufsa
  12. Master Of Disguise
  13. White Noise Monster
  14. Reflections
  15. Raudt og Svart

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