Recensione: Sign of the Hammer

Di Keledan - 11 Dicembre 2001 - 0:00
Sign of the Hammer
Band: Manowar
Etichetta:
Genere:
Anno: 1984
Nazione:
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90

Il 1984 è stato un anno molto produttivo per i Manowar, prima hanno pubblicato
Hail to England, successivamente Sign of the Hammer.
Questo album inizia con due pezzi di heavy classico, all’americana. All Men
Play On Ten
è un tributo all’etichetta del momento, la 10 Records,
e allo stesso tempo il manifesto del leit motiv dell’esistenza manowariana, ossia
la lotta al false metal. Eric Adams ci canta a squarciagola che i Manowar
non si piegheranno mai e poi mai alle esigenze dei produttori e delle mode, e
che nessuno li comprerà mai.

“… it’s more to me than just a job, and while I’m playing
You won’t get robbed
Nobody tells a man how to play, it just ain’t that way”

“… per me è molto più che un normale lavoro, quando io
suono
non ti deruberò, nessuno può dire a un uomo come suonare, non
è così che funziona”

La canzone è orecchiabile, gradevole, anche se piuttosto semplicina.
Animals invece è una delle canzoni più insignificanti
mai prodotte dalla band americana, quindi soprassiedo dal commentarla.

Lo spettacolo di Sign of The Hammer inizia con Thor.
Joey & Co. scomodano niente meno che la mitologia nordica, e narrano una
battaglia di mostri, giganti e uomini, che assomiglia molto al Ragnarok, la
battaglia finale. Eric in formissima per tutto il pezzo, interpreta alla grande,
e finisce con un impressionante acuto da 31 secondi, a dimostrare, se ancora
ce ne fosse stato bisogno, che lui è il più grande cantante della
storia del metal.

In Mountains si cambia ritmo diverse volte, passando dal lento molto
atmosferico, a un midtempo, alla marcia. Eric dimostra che non ha solo polmoni,
ma anche una voce calda e carica, oltre che una grande espressività e
una carica interpretativa seconda a nessuno. Bello l’accompagnamento, il ritornello
è a dir poco suggestivo. Il testo è affascinante, una poetica
metafora sulla montagna, e la sfida alla maestà delle altezze, laddove
solo le aquile possono volare.

Una sfuriata sotto il segno di Mjolner, ci annuncia Sign of the Hammer,
title track, che sorprendentemente non ha niente a che vedere con Thor e Odino,
ma che mitizza la band, in una novella Eneide, consegnando ai Manowar l’immortalità,
e il ruolo di alfieri della vendetta degli Dei.
Nonostante il testo abbastanza banale, il Bridge non fa il tempo a finire e
già sto cantando “Sign of the Hammer be my guide”. Vi assicuro
che dal vivo Eric fa veramente il mitico ‘wuh’ sul microfono, anche se non tante
volte come nella versione da studio! Siamo di fronte al più classico
heavy/speed americano, non fosse per testi, bridge e ritornello che sono epicissimi
e trascinanti.

The Oath è il mio pezzo preferito e, come sempre vado in controtendenza,
infatti il mio preferito in Battle hymns è Dark Avenger, pensate un po’.

S’inizia con una sfuriata sulla batteria del vecchio Scott, dopodiché
il ritmo si stabilizza e inizia un testo leggermente delirante. A grandi linee
si parla di un impegno di battaglia contro un determinato popolo, o una determinata
setta. Se non fosse per strane affermazioni sui draghi, mi parrebbe di capire
che si parla di un comandante romano, dei tempi della repressione anti cristiana,
che si appresta a far stragi tra i profeti e i loro seguaci.
Come non mai i testi di Joey (e Ross, in questo caso) sono criptici, e non si
capisce se lo siano per eccesso di ermetica sapienza, o per l’opposto contrario.
Ma tanto che ce ne frega, ciò che conta è la musica! I suoni sono
selvaggi e incessanti, la voce carica, cattiva, violenta, il basso ai massimi
livelli, il carisma è tanto che alla fine si canta “I swore the
Oath” giurando di battagliare contro qualsiasi nemico, pur di seguire i
Kings Of Metal.
Inutile dirlo, Eric Adams ci stupisce l’ennesima volta, provate un po’ ad ascoltarlo
quando, dopo l’assolo, urla
“Burning embers of the second death will come in the night”.
Farebbe paura perfino ai demoni dell’oltretomba.

Vi segnalo 2 strofe che nessuno ha mai saputo interpretare:
“Priests and Kings, the alpha and Omega, poison bites
False Prophets and deceivers, swing from the trees”

“Preti e Re, l’Alpha e l’Omega, (danno?) morsi velenosi
Falsi profeti e ingannatori volteggiano dagli (sugli) alberi.”

Eric urla “Swing from the trees” con molta convinzione, che vorrà
significare?

Thunderpick rappresenta ciò che non può mancare in un
sano album dei Manowar: l’assolo di basso. Chiariamoci, il basso di Joey
non è un basso normale
. Si tratta di 4 corde di chitarra ravvicinate,
raccolte in fondo al manico e suonate velocissimamente col plettro.
Con questo strumento dal suono unico, Joey ci ha regalato grandi momenti di
musica, ma a volte ciofeche terribili, come nel caso della insulsa Black Arrows (Hail To England).
Thunderpick per fortuna è forse il più bello dei pezzi per solo
basso di Mister De Maio: tecnico, ma anche melodico ed epico, vale la pena ascoltarlo.

Il gran finale dell’album, che purtroppo dura troppo poco, si materializza
con Guyana (cult of the damned). Si tratta, a mia memoria, del primo
testo ‘impegnato’ dei Manowar, non l’unico, perché un secondo pezzo del
genere potrebbe essere ritenuto “Spirit Horse of the Cherokee”, col
quale i Manowar si schierano in difesa del popolo e della cultura indiano.

Antefatto: il 18 novembre del 1978, in una radura nella foresta della Guyana,
il reverendo Jim Jones ordinò ai 911 membri della sua setta di uccidersi
bevendo un intruglio al cianuro.
Certo che l’armageddon fosse imminente, oppure desideroso di sperimentare le
sue tecniche di manipolazione delle masse, temute perfino dai servizi segreti
americani, Jones diede il macabro ordine, e a morire non furono solo adulti
consenzienti, perchè il veleno fu propinato anche ai bambini della comunità.
I cultisti avevano ricevuto il lavaggio del cervello da mister Jones, che a
sua volta si sarebbe tolto la vita sparandosi alla testa, anche se si sospetta
che qualcun altrogli abbia dato il benservito.
Jones prese il suo posto di diritto nell’iconografia americana dei malvagi per
eccellenza, affianco a gente del calibro di Charles Manson.

Come avete capito, Guyana parla del reverendo Jones e della setta dei suicidi.
Io avevo approfondito, la questione ben prima di sentire questo pezzo, e vi
assicuro che i testi, la musica e la passione del cantato di Eric sono in grado
di suscitare grandi emozioni, e di calarci nei panni di un membro nella setta,
nel momento di immolarsi agli ordini del carismatico manipolatore.

Maestoso attacco di basso, un arpeggio magistrale che c’introduce ad una marcia
epica, che lascia il posto ad altri cambi di tempo, che di volta in volta sottolineano
la drammaticità dei cori.
Un grande pezzo, degno di concludere un grande album, e una grande era Manowar.

Come accade in tutti i primi album, la band miscela heavy classico americano
e heavy metal epico, con lo stile inconfondibile e unico che tutti conosciamo.

Sign Of The Hammer è l’ultimo album dei ‘vecchi’ Manowar. Anche
un sordo può capire, infatti, che, dopo l’anomalo e rockeggiante Fighting the World, da Kings of Metal le cose sono
cambiate parecchio
, il sound della band ha iniziato a prendere una
piega molto più power e ‘moderna’
, abbandonando progressivamente i
suoni più classici.
A dimostrazione che non solo io la penso così, ma anche la band, basta
che guardiate la divisione delle canzoni tra i due cd di Hell on Stage. Il CD
1 rappresenta i vecchi Manowar, il CD 2 i nuovi Manowar.

Non sta a me disputare su quale ciclo sia il migliore, anche perché
quello attuale è ancora ben lungi dal concludersi. Ma una cosa è
certa: Sign of the Hammer rappresenta l’apoteosi del vecchio stile Manowar.
Il suono è metallico come non mai, la produzione è grezza, ma
la voce è tagliente, pura, potente, altissima, le distorsioni sono metalliche
e cattive, l’originale basso di Mister De Maio viaggia alla grande. Il mix di
pezzi lenti e veloci è dimostrazione della maturità raggiunta
dalla band, che non scade mai nella banalità, e non teme critiche o confronti,
ma come sempre prosegue a testa alta per la propria strada. Acquisto consigliatissimo,
prossimamente dovrebbe uscire rimasterizzato e in ristampa, speriamo. Purtroppo
l’edizione originale ha un booklet scarsissimo, non ci sono manco i testi, del
resto fa 4 pagine comprese le copertine!

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