Recensione: Sounds of the Forgotten

Di Marco Donè - 31 Maggio 2024 - 6:00
Sounds of the Forgotten
Band: Witherfall
Etichetta: DeathWave Records
Genere: Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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85

I Witherfall sono ormai uno dei nomi più importanti della scena metallica internazionale. A tutti gli effetti, il combo californiano rappresenta il tanto agognato ricambio generazionale della musica dura. Sì, perché una volta che le leggende degli anni Ottanta troveranno il coraggio di dire basta, il gruppo americano ha tutte le carte in regola per occupare un posto di rilievo nell’olimpo del metallo. Proprio a seguito di quanto appena scritto, è con grande curiosità e interesse che ci apprestiamo all’ascolto del nuovo “Sounds of the Forgotten”, il quarto album in carriera per la formazione capitanata da Joseph Michael e Jake Dreyer.

Credo sia inutile sottolineare come “Sounds of the Forgotten” sia forse il capitolo più complicato nella storia dei Witherfall. Dopo tre dischi caratterizzati da una crescita e un’evoluzione continua – nella proposta e nella personalità – “Sounds of the Forgotten” rappresenta il colpo da non sbagliare. In queste situazioni, di solito, si usa il temine “album della maturità”. Ma i Witherfall hanno dimostrato di possedere la cosiddetta maturità già dal lavoro di debutto, da “Nocturnes and Requiems”. “Sounds of the Forgotten” può quindi essere atteso solo ed esclusivamente come il disco della definitiva consacrazione. Ed è proprio con questo mood che ci approcciamo al suo ascolto, con delle aspettative elevatissime.

Sono sufficienti i primi istanti di ‘They Will Let You Down’ per comprendere che le aspettative non verranno deluse, anzi. “Sounds of the Forgotten” si rivela proprio come quell’opera che stavamo aspettando: un album complesso ma che invoglia a essere vissuto, un lavoro capace di coinvolgere e trascinare l’ascoltatore in un mondo fatto di oscurità, violenza, tristezza, desolazione, solitudine, rabbia. Un disco intenso, capace di entrare in contatto con il lato più introspettivo dell’essere umano. Un platter in grado di lasciare un segno del proprio passaggio in un’epoca in cui tutto dura il tempo di un click.

Sounds of the Forgotten” ruota attorno al guitarwork di Dreyer che, nonostante la giovanissima età, dimostra di possedere una marcia in più rispetto a tanti altri colleghi ben più blasonati. Al suo fianco, quasi come una sorta di alter ego, troviamo il basso di Anthony Crawford, autore dell’ennesima prova superlativa. I due vengono coadiuvati alla perfezione da Marco Minnemann – batterista che non ha certo bisogno di presentazioni – che si è occupato delle registrazioni di “Sounds of the Forgotten” prima di lasciare la band. E poi c’è lui: Joseph Michael. Il cantante americano si presenta in stato di grazia, confezionando una prova monumentale, sia dal punto di vista tecnico che interpretativo. Michael regala una prestazione estremamente teatrale, riuscendo nel non facile compito di esteriorizzare con la propria voce ogni singola sfumatura del disco, da quella più aggressiva a quella più introspettiva. Il cantante, inoltre, spazia in tutto il proprio spettro vocale, dalle partiture più grevi alla voce piena, da quelle più delicate e suadenti al falsetto. Ogni singola canzone viene affrontata con grande espressività e personalità. Il valore aggiunto del disco sta proprio nella sua prestazione, c’è poco da fare. Impressionante, poi, come suoni e voce si sposino alla perfezione, come le linee vocali si integrino con melodie e atmosfere.

Dieci sono i pezzi che compongono “Sounds of the Forgotten”, dieci capitoli di qualità eccelsa, dotati di personalità. Si inizia con il botto, grazie alla già citata opener ‘They Will Let You Down’, per continuare con la classe e l’eleganza di ‘Where Do I Begin’. Arriva poi l’aggressiva ‘Insidious’, in cui, dopo un inizio in blast beat, veniamo travolti da un’evoluzione continua, dal thrash al prog, passando per l’heavy metal, il tutto mescolato alla perfezione. L’assolo di Dreyer, con quell’inizio che rievoca il Malmsteen più ispirato, è una chicca assoluta, come la prova al microfono di Michael che, per intensità e teatralità, sembra seguire l’esempio di King Diamond. E se l’assolo di ‘Insidious’ ci ha riportato alla mente Malmsteen, che dire dell’arpeggio di ‘Opulent’? Citiamo anche ‘Ceremony of Fire’, pezzo ricercato e intriso di qualità e personalità, come la conclusiva suite ‘What Have You Done’, una delle gemme assolute di “Sounds fo the Forgotten”.

Da segnalare, poi, l’ottima produzione, con suoni curati e potenti, grossi come macigni, pronti a valorizzare l’opera dei singoli musicisti e i colori cupi e aggressivi emanati dalle varie composizioni. Il quarto album dei Witherfall si rivela un disco di classe, dotato di personalità, di qualità. Le composizioni risultano ricercate, senza mai diventare prolisse e fini a sé stesse, anzi, riescono a far scoprire qualcosa di sé ascolto dopo ascolto. Con “Sounds of the Forgotten”, insomma, i Witherfall ci donano proprio il disco che desideravamo e pretendevamo da loro. Chiudiamo con una piccola riflessione, che suona di azzardo e provocazione: se i Nevermore sono stati la continuazione e l’evoluzione dei Sanctuary, i Witherfall, a tutti gli effetti, sono la continuazione e l’evoluzione dei Nevermore. Serve aggiungere altro?

Marco Donè

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