Recensione: State: In Denial

Di Daniele D'Adamo - 19 Maggio 2013 - 10:56
State: In Denial
Band: Demotional
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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76

 

Come tutti i generi *-core, anche quello derivante dall’incrocio fra il melodic death metal (o, meglio, gothenburg metal) e l’hardcore, cioè il metalcore, si spinge a fondo nel fianco più emozionale della musica estrema. Ne perfora la scorza metallica per poi penetrare la parte più tenera, giungendo con decisione a infilzare il nucleo ove, senza sosta da eoni, sgorgano i sentimenti che struggono l’animo umano.

Non si tratta, tuttavia, di pulsioni tipo emo (-core) et similia, bensì di metallo duro, rabbioso, veemente con una spiccata attitudine per l’esplorazione degli stati più eterei che la psiche sia in grado di materializzare. Gli esempi, in questo senso, non sono pochi e fra essi si possono citare quelli di ensemble come i britannici Devil Sold His Soul e gli svedesi Adept; aggiungendo alla coppia, per dovere di completezza, degli altri connazionali di questi ultimi: i Demotional.    

Non a caso (data la decisa impronta swedish) formatisi proprio a Goteborg nel 2009 per mano del chitarrista Sebastian Fjordevik, ai Nostri è bastato poco per raggiungere il debut-album: un singolo (“When She Cries”, 2009) e un EP (“Alive”, 2011) sono stati i soli ma sufficienti esperimenti, di successo, prima di raggiungere il contratto discografico con la Dead End Exit Records per dare alle stampe “State: In Denial”.

In effetti, il DNA che contraddistingue la città di provenienza produce degli effetti non secondari, nei geni dei Demotional, poiché – nonostante i decisi toni secchi e taglienti del loro sound – sono presenti due caratteristiche peculiari di gente come, per esempio, gli Scar Symmetry, e cioè una formazione comprendente due vocalist; specificamente dedicati alle clean vocals e, in questo caso, allo screaming. E, poi, un uso massiccio delle tastiere, a onor del vero relegate sempre e comunque in un ruolo di accompagnamento o poco più, sì da riempire e rimpolpare – ma anche addolcire – un sound altrimenti troppo (per i gusti della band) aspro e corrosivo. Questa interpretazione del moderno metalcore, da parte di Fjordevik e compagni, fa sì che il confine fra il medesimo e il più tradizionale death metal melodico sia piuttosto labile (‘modern metal’ à la Rise To Fall?). E, in ciò, insiste forse la migliore peculiarità di uno stile sicuramente voltato in avanti ma che, ogni tanto, si gira per non dimenticare da dove arrivi.   

Dissertazioni tipologiche a parte i Demotional hanno sicuramente trasfuso, nel platter, una buona classe compositiva, tale peraltro da raggiungere con linearità e semplicità la dovuta coesione stilistica marchiando cioè a fuoco con la scritta ‘Demotional’ tutte le canzoni del platter medesimo. Non solo, anche per la scrittura dei singoli brani essi mostrano di aver già raggiunto una maturità artistica non solo sufficiente ma anzi più che buona per realizzare un’opera che, senza aver pretese da capolavoro, appare godibile, fresca e spontanea in tutte le sue parti. Sempre venata, come anticipato all’inizio, da melanconiche sfumature passionali avvolgenti – chi più, chi meno – gli undici brani del disco.   

Brani che, invece, non sempre riescono a mantenersi sullo stesso livello qualitativo. Le prime tre song, difatti, sono assolutamente fantastiche; soprattutto “Five Minutes”. Un trittico dove la melodia esplode in tutto il suo accorato splendore, fra ritmi rutilanti e potenti, possenti breakdown, ritornelli che si stampano al volo all’interno della scatola cranica, chitarre rabbiose, screaming roventi, ariosi giri di tastiere. Il resto di “State: In Denial” non è certo da buttar via, anche se subisce un certo impoverimento d’idee, soprattutto in occasione del lento “Gone”, privo di mordente e pure fuori luogo dal contesto. Buona senza essere straordinaria l’hit “Alive” il cui boom, nel 2011, ha dato una spinta decisiva alla formazione scandinava.
 
Ancora un po’ di continuità nella levatura delle sequenze armoniche, quindi, e i Demotional potranno tentare di arrivare ai più alti livelli del genere. Non è un’impresa impossibile, poiché “State: In Denial” è già lì vicino ai migliori.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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