Recensione: Storm The Gates

Di Luke Bosio - 13 Dicembre 2018 - 9:56
Storm The Gates
Band: Venom
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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70

Terzo disco in sette anni per la Spinefarm, che si permette il lusso di far uscire il nuovo album dei Venom con 10 mesi di ritardo rispetto alla data prevista, provocando le ire funeste del già poco paziente Conrad Lant (Cronos) e conseguente addio alla casa discografica! Cronaca a parte, i Venom ritornano a fare una gran cagnara con questo “Storm The Gates” (titolo di riferimento estrapolato dal loro terzo album “At War With Satan” del 1984). Dimenticate tutti i progressi effettuati con “Fallen Angels” (2011) e “From The Very Depths” (2015) che consacravano la stabilità della nuova line-up con Rage alla chitarra e Dante alla batteria; formazione affidabile e fatta di gran lavoratori messi a disposizione di sua maestà Cronos che chiudeva così, una volta per tutte, i contatti con la line-up originale dopo aver rifiutato le avance per l’ennesima proposta di reunion. Cronos distrugge con un rutto satanico tutto quel che di positivo aveva creato – per l’opinione pubblica e gli standard qualitativi di una release ‘normale’ al passo con i tempi – riportando a casa la sporcizia, il grezzume, la crudeltà, l’odio e la porcaggine del sound primitivo proprio degli esordi della band. I punti di accostamento di questo nuovo insano parto ci riportano al 2006, ai tempi di “Metal Black“. un disco che si fece veramente odiare per (voluta) scarsa qualità sonora e un mixaggio talmente mal bilanciato da far venire forti emicranie anche ai fans più agguerriti della band di Newcastle.

‘’Storm The Gates’’ sembra essere stato registrato nella casa degli orrori di Texas Chainsaw Massacre, con Freddy Kruger alla consolle, solo che le 13 canzoni presenti sono dannatamente migliori, assai tirate e gli strumenti si sentono alla perfezione rispetto all’immondo ”Metal Black‘. Se si vuol rendere una release dei Venom pulita e diretta con suoni potenti e moderni si rischia di snaturarne lo spirito e di liberare solo il thrash da sempre presente nella loro musica. Gran cosa, ma i Venom non sono una band thrash metal, almeno non solo quello! Sono scelte di produzione, chiaro, ma loro stati progenitori dello ‘schifo sonoro’ unito a forti dosi di minimalismo punk (GBH/Discharge suonano ancora familiari a qualcuno?) e metallo randagio ignorante, e di tutte le atrocità che il loro sound ha sviscerato negli anni. Quindi i Venom, più di chiunque altro, hanno il satanico diritto di riappropriarsi del loro sound originale e di fare, per propria volontà, ancora una volta ‘schifo’ alle masse infighettite, che ovviamente saranno molto disturbate da questa nuova catastrofe sonora.

Partiamo subito col dire che per chi segue – da sempre – i Venom e la loro ideologia di base un po’ di delusione c’è, dato che per la prima volta nella storia della band le tre canzoni già edite lo scorso anno sotto forma di 12’’ sono comprese nell’album, il che vuol dire tre sorprese in meno. “100 Miles To Hell“, “Beaten To A Pulp” e “We The Loud” vengono disseminate lungo la durata dell’intero lavoro (rispettivamente alla posizione 4, 6 e 11) e non hanno subito nessuna variazione, il che ci fa fortemente pensare che il disco fosse già stato registrato da più di un anno. Per chi non le avesse ancora ascoltate diciamo subito che si tratta pur sempre di tre ottime composizioni (ce ne sono altre sicuramente migliori nell’album); la prima, “100 Miles To Hell“, è un mid tempo sostenuto che ancora deve molto ai Mötorhead, con un incedere ritmico dettato dal basso distorto di Cronos; “Beaten To A Pulp” è più diretta e veloce, con un riff pieno di attitudine punk dei già citati Discharge; mentre “We The Loud” è la migliore del lotto, come da tradizione trattasi di thrash metal sporco, veloce e cazzuto. A parte questa grave disattenzione (mai singoli A e B side finirono nei loro album, ma rimasero brani a se stante) queste canzoni non sono fondamentali nell’egemonia totale del disco, anche se certamente trovano una degna collocazione al suo interno. Per tutti i ‘non-Venomiani’ il disco è aperto in maniera diretta ed esplosiva da “Bring Out Your Dead” ennesimo brano molto a la Lemmy, sporcato da venature di punk inglese, insomma, un tupa-tupa non velocissimo alla cui fonte si sono abbeverati per anni Hellhammer, Sodom, Kreator, Destruction e via discorrendo. Segue ritmata e coinvolgente “Notorious“, accostabile alle ultime composizioni di ‘questi’ Venom, mentre “I, Dark Lord” parte con il freno a mano tirato sino all’entrata in scena delle percussioni telluriche dettate dalla doppia cassa di Dante. Qui le ritmiche spaccano letteralmente le ossa, con basso e batteria martellanti, ottimi breaks di Rage e linee vocali bellissime di Cronos.

Si prosegue con il primo vero highlight dell’album, “Dark Night (Of The Soul)” è la canzone che vorremo sempre ascoltare dai tre Velenosi di Newcastle, con tanto di insulti ‘straight in ya face’ che posso solo immaginare a chi siano rivolti. ‘’on your kness and prey…uh!” Questo è Cronos e questi sono i Venom che centrano il bersaglio! Il disco si siede un po’ con la successiva “Destroyer“, una monolitica e rallentata cacofonia che sbircia al doom pur non essendo un brano propriamente doom, e neppure un lugubre atmosferico, bensì una soffocante e mal combinata rilettura del classico 7’’ “Warhead“. Passiamo oltre. È nuovamente tempo di buttare tutto in caciara con la velocissime “The Mighty Has Fallen” e “Over My Dead Body“, entrambe viaggiano dritte come un treno ad alta velocità, specie la prima, mentre la seconda è un pelo più sperimentale dato che alterna un riff supersonico a parti cantante lentamente. L’incedere è da spacco tutto e me ne fotto! Questo è il loro caos sonoro di alta qualità, prendere o lasciare. “Suffering Dictates” zoppica anche se è aperta da un giro iper-distorto di basso e potrebbe essere la migliore dell’intero lotto (le similitudini con “Satanachist” da “Possessed” del 1985 sono più di una), purtroppo il boss decide di infilarci dentro una voce filtrata che non suona affatto satanica bensì industrial e robotica…non ho gradito la scelta. “Immortal” è la mia traccia preferita, una bastonata sui denti, totalmente Venomiana. Prendete il meglio di ‘Metal Black’, definite il sound e pompatelo ad un livello 10 volte superiore. Ecco un’altra gemma del Maligno. Perfetta! A chiudere arriva la title-track, un up-tempo che trasuda malignità da ogni poro, con un inizio allarmante, parti vocali esagerate e grottesche dove Cronos condensa tutto il suo celebre arsenale satanico.

Complessivamente è una buona prova per questa ormai collaudata formazione, che si è presa il lusso di produrre tre album diversissimi tra loro, senza snaturare più di tanto il sound originale. Le ragioni di questa formula vincente risiede nella convinzione e nell’ego autoritario del suo leader: antipatico, strafottente, irascibile, sfrontato e menefreghista. Questo atteggiamento può ancora permetterselo nel 2018 perché lui è Cronos…tutti gli altri solo dei poveri, miserabili, inutili mortali. Lui è sopravvissuto al pandemonio musicale di cinque decadi musicali, e sarebbe sbagliato non sottolineare come ancora una volta la sua voce emani zolfo infernale che è un piacere. Questi sono Venom differenti, diversi da quelli degli esordi, sono fintamente grezzi, e furbescamente ignoranti! Ai tempi della formazione originale c’era quella rozza approssimazione che ha fatto scuola, ma ora, in questa band, ci sono musicisti capaci che danno sicurezza e qualità, pur continuando a trasmettere quel senso di abrasivo e imperfetto ma assai artefatto. Un minimalismo come input creativo e credibile, potrebbe cominciare ad arrivare anche dalle loro copertine, tanto belle ed esaltanti, ma troppo fumettistiche e adolescenziali. Sufficienza abbondate per un disco ritmicamente granitico ed aggressivo con un groove sempre presente, interpretato vocalmente con credibile coinvolgimento da un sempreverde Cronos. Questi ‘vecchietti’ possono aver qualche capello in meno, ma nel DNA hanno impressa la storia di tutto ciò che è identificabile come estremismo musicale. Un tempo (forse) sopravvalutati, ora (sicuramente) sottovalutati.

Benvenuti ancora una volta all’ascolto della beata ignoranza fatta musica!

Luke Bosio

 

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