Recensione: Strange Machine

Di Matteo Pedretti - 18 Giugno 2022 - 12:30
Strange Machine
Band: Alunah
Etichetta: Heavy Psych Sounds
Genere: Doom  Stoner 
Anno: 2020
Nazione:
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78

Mi sono approcciato a “Strange Machine”, nuova release targata Alunah, con un certo scetticismo. Da fan di lunga data della band, ho assistito con disappunto alla dipartita dei fratelli Day: dapprima a quella di Sophie (voce e chitarra) nel 2017, all’indomani dell’uscita di “Solemnial”, e poi a quella di David (chitarra) che ha abbandonato nel 2019. Se a questo aggiungiamo che il precedente “Violet Hour”, primo full lenght senza i fratellini, mi aveva entusiasmato ben poco si capisce che le premesse non erano certo delle migliori…

È stato sufficiente un primo ascolto per ricredermi completamente, ma procediamo con ordine… Dopo la fuoriuscita di Sophie e David, il batterista Jack Mason, unico superstite del nucleo originale, ha trovato un’altra talentuosa vocalist in Siân Greenaway e ha reclutato Dean Ashton dei Diamond Head alla chitarra. Sarà probabilmente perché il quartetto, completato dal bassista Dan Burchmore (all’attivo dal 2013), doveva ancora trovare il giusto affiatamento, ma fatto sta che, come si diceva, “Violet Hour”, la prima prova della rinnovata formazione, non convince pienamente.

Il 2020 è la volta di un nuovo avvicendamento, con Matt Noble che va a sostituire Dean Ashton alla sei corde. Forti di questo nuovo assetto e di equilibri finalmente consolidati, gli Alunah entrano in studio per registrare “Strange Machine” che, come il suo predecessore, è realizzato dall’etichetta romana Heavy Psych Sounds e prodotto da Chris Fielding, ingegnere del suono che, oltre a essere il bassista dei Conan, vanta una miriade di esperienze dietro al mixer con collaborazioni che – solo per citarne alcune – spaziano da Electric Wizard a Primordial passando per Winterfylleth e Mourning Beloveth. Il risultato si rivela davvero interessante: i discendenti di Albione hanno ampliato il proprio spettro espressivo, sfumando il loro nocciolo Stoner/Doom con tinte psichedeliche e Garage Rock.

“Strange Machine”, “Broken Stone” e “Teaching Carnal Sins” rimangono allineate al back catalogue del combo di Birmigham. Si tratti di episodi che, nonostante le marcate influenze sabbathiane, riescono a rimanere in una dimensione piuttosto personale, in cui la rocciosità della chitarra e della sezione ritmica, particolarmente evidente nei rallentamenti, è controbilanciata da registri vocali versatili e spesso melodici e dalle soventi divagazioni chitarristiche in territorio psichedelico.

Anche “Over the Hills” e “Silver” sono fondamentalmente pezzi Stoner/Doom, ma se la prima è caratterizzata da atmosfere ritualistiche, la seconda è un up tempo (formula inusuale per i Nostri) che, senza aggiungere nulla al genere, ha il merito di piazzarsi in modo calzante nella tracklist, mischiando le carte in tavola e ravvivando l’attenzione dell’ascoltatore nella sezione finale del disco.

Una delle principali novità risiede negli accenni, nemmeno troppo velati, al Progressive Rock della tranquilla “Fade into Fantasy”, le cui arie incorporano anche un certo mood Folk, e della spiazzante sezione centrale dell’altrimenti pesante “The Earth Spins” (che ospita il bassista dei Crowbar Shane Wesley). Altri elementi ora in maggior risalto rispetto al passato sono gli innesti Garage Rock a tinte Heavy Psych di “Psychedelic Expressway” e il groove della closer “Dead Woman Walking”.

Delle numerosissime nuove band che hanno affollato la scena Stoner/Doom sul declinare del primo decennio dei Duemila, quando il genere ha conosciuto il suo momento di revival, gli Alunah si sono dimostrati essere tra le più incisive. Sicuramente lodevole la tenacia del batterista Jack Mason che, proprio quando tutto sembrava ormai perduto, ha saputo risollevare la testa, spingendo la propria visione artistica verso direzioni ancora parzialmente inesplorate, in grado di valorizzare al meglio la proposta di questa nuova incarnazione del gruppo.

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