Recensione: Strangers D’Amour
Non è mai stato tanto facile, come a questo giro, recensire una nuova uscita.
Energico, Equilibrato, Elegante.
Questi sono gli aggettivi che, sin dal primo ascolto, si guadagna “Strangers D’Amour”, sesto album dei sassoni Fargo, nella inedita versione di trio, composto da Peter Knorn al basso, Peter Ladwig alla chitarra e voce e Nikolas Fritz alla batteria, i quali campeggiano sulla copertina con i volti composti da elementi vegetali, alla maniera del pittore Arcimboldo, a simboleggiare la necessità di un ritorno alla comunione con la natura.
L’album segue di tre anni “Constellation” lavoro che, sull’onda emotiva della pubblicazione della discussa biografia di Peter Knorn (stranamente rimasta solo in lingua originale a quel che mi risulta), ha segnato, ben trentasei anni dopo la precedente pubblicazione discografica, il ritorno sulle scene del gruppo, ad opera dei cofondatori Ladwig e Knorn, i quali nel lungo lasso di tempo tra le due uscite sono rimasti tutt’altro che inattivi avendo il primo operato come solista e il secondo fondato i Victory (nei quali ha militato anche Ladwig).
Ricordate lo spot in cui appariva un noto chef stellato che esaltando le qualità di un formaggio nostrano, in qualsiasi stadio di stagionatura, recitava: “È buono sempre” ?
Bene, di “Strangers D’Amour” si può dire la stessa cosa.
Un disco praticamente perfetto, scritto davvero alla grande e suonato anche meglio, che attingendo alla gloriosa fonte dell’eterna giovinezza del rock anni 70, scorre gradevolmente, senza alcuna incertezza dalla prima nota del primo pezzo sino all’ultima nota della traccia finale e che può candidarsi ad essere goduto in qualsiasi situazione. Dal rendez vous romantico a circostanze conviviali, in momenti rilassati ed intimistici, tanto quanto in episodi che richiedono una dose supplementare di adrenalina.
L’album offre undici tracce, in cui vengono lasciate prevalere di volta in volta, sonorità e spunti classic rock (“Rain Of Champagne”, “Gimme That Bone” – che ha nel riff qualcosa di “Jumpin Jack Flash” degli Stones – “Law Of The Jungle”), psychedelic (“Closer To The Sun” e “Time” di cui si segnalano gli intensi assoli), southern (“Mary Says”, “Dear Miss Donna Vetter”, “Why Don’t You“) e blues (“Homesick “, ”No Reason To Cry”, “Car Expert”).
In una amalgama perfetta, bilanciata da sorprendente gusto e grande professionalità, tutti i brani risultano validi e accomunati da suoni e chorus caldi, intensi e melodiosi, nonché grandi assoli di chitarra.
Riecheggiando della musica immortale di gruppi come Cream, Rolling Stones, Whitesnake, le tracce – con testi, a volte profondi, altre volte sardonici – sono interpretate dalla particolarissima voce di Ladwig che ricorda quella di David Coverdale (senza, ad onor del vero, averne l’estensione) e, a tratti, quella del compianto chitarrista canadese Jeff Haley.
Brani intensi, che si susseguono con assoluta naturalezza e leggerezza.
Un lavoro non solo per gli amanti del rock, ma per tutti gli amanti della buona musica, che lascia sempre viva la voglia di un ulteriore ascolto e che rende davvero arduo individuare quale siano le migliori canzoni dell’album, scelta lasciata esclusivamente ai gusti personali.
“Strangers D’Amour” si pone al primo posto nella mia personalissima classifica delle uscite di questo primo semestre dell’anno e prevedo che, con grande probabilità, non perderà il primato nella restante parte del 2021.
Resto in attesa di essere smentito…