Recensione: The Alchemist

Di Gaetano Loffredo - 8 Ottobre 2007 - 0:00
The Alchemist
Band: Witchcraft
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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70

Svedesi ma follemente innamorati della scena inglese e americana degli anni settanta, i Witchcraft incarnano lo spirito della band vanitosa, il gruppo “bello e impossibile”, quello che fa dell’aspetto trasandato e del carattere  anticonformista lo stile di vita.
Le sette canzoni incluse nel nuovo paragrafo scandinavo sono il classico specchio dell’anima e come da copione suonano irriverenti, affascinanti e un po’ pretenziose. Tutto studiato, tutto sotto controllo.

The Alchemist, oggi, suona esattamente come avrebbe suonato trentacinque anni fa. Chitarre (John Hoyles) sbiadite ed essenziali, basso (Ola Henriksson) in grande evidenza, voce (Magnus Pelander) sfrontata/svogliata e batteria (Fredrik Jansson) ridotta al minimo sindacale per un disco che nei suoi quaranta minuti ripercorre la storia e la distanza che separa i Black Sabbath dai Pentagram. In mezzo, tutta la sfrontatezza e l’espressività di un quartetto che ha voglia di stupire.

Hard rock, doom-rock, rock blues o come amano definirlo gli americani: “hipster metal”. Tutto questo è The Alchemist.

L’album scorazza in lungo e in largo calcando la mano sugli splendidi assoli di Hoyles (un chitarrista di chiara fede blackmoriana) fino a traslocare nei territori psichedelici, arma a doppio taglio che in ogni caso riconsegna un briciolo di personalità.
Gli esteti dell’old style avranno di che rallegrarsi nell’ascoltare brani come l’opener Walk Between The Lines (titolone abusato) o la successiva If Crimson Was Your Color, due spaccati “arcaici” poveri nelle strutture, come di consueto, ma molto più coinvolgenti che in passato, segno di una maturazione artistica (dopo l’omonimo debutto del 2004 e Firewood del 2005) e di una rinnovata ispirazione che abbraccerà anche i rimanenti capitoli fino all’apologia auto-celebrativa della suite finale.

Durante l’ascolto di Hey Doctor e di Samaritan Burden vi perderete tra le note alla ricerca delle influenze più disparate ma non meravigliatevi se, tra le tante intuizioni, salterà “all’orecchio” qualche idea riciclata: stiamo pur sempre parlando di un genere che ha già detto tutto, o quasi, e di una formazione che gli rende oggettivamente tributo. Voi dovete soltanto preoccuparvi di inserire il disco nell’apposito lettore della vettura e lasciarvi accompagnare da una colonna sonora che ha come unico obiettivo quello di riportarvi indietro nel tempo. E ci riuscirà.

Resto dell’idea che album come questo, anche se fondamentalmente non inventano nulla, aiutino a riscoprire i classici di un’epoca da magnificare o se non altro servono per un ripasso della storia del rock. E se Phil Anselmo (Pantera) ha espressamente dichiarato che i Witchcraft sono la sua nuova band preferita, beh, un motivo ci sarà.


Gaetano Loffredo
 

Tracklist:
1.Walk Between The Lines
2.If Crimson Was Your Colour
3.Leva
4.Hey Doctor
5.Samaritan Burden
6.Remembered
7.The Alchemist

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