Recensione: The Archaeoptimist

Di Roberto Gelmi - 21 Novembre 2025 - 11:30
The Archaeoptimist
Etichetta: MadFish Music
Genere: Progressive 
Anno: 2025
Nazione:
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75

Gli Spock’s Beard sono vivi e vegeti e tornano con un nuovo album (il primo con l’etichetta first release on Madfish) dopo sette anni dal precedente Noise Floor. A dire il vero, l’attesa è stata stemperata dai cinque album dei “cugini” Pattern Seeking Animals, che hanno regalato buona musica nell’ultimo decennio e nel 2022 è uscito il notevole “The Myth of the Mostrophus”, lavoro solista di Ryo Okumoto. È proprio l’eclettico tastierista a produrre l’album con l’aiuto di Rich Mouser (Dream Theater, Weezer) al mix e al mastering, mentre alla batteria troviamo il neo-acquisto Nick Potters che sostituisce l’altro storico Nick (D’Virgilio, che continua però a tener vivo il suo legame con la barbe).

The Archaeoptimist è, inoltre, il quarto album con Ted Leonard al microfono e ripropone l’intento delle “barbe” di rievocare le atmosfere magiche di mostri sacri come Yes, Gentle Giant, Pink Floyd e i primi Genesis.  Titolo e artwork sono bizzarri e memorabili al punto giusto, vediamo se anche la musica è valida come in passato. Parliamo di una scaletta corta, solo sei brani, ma gli ultimi due raggiungono complessivamente la mezzora, come da tradizione progressive.

Le danze si aprono con un canto a cappella di Ted Leonard. “Invisible” prende avvio con piena verve prog, tante tastiere, il basso in bella vista di Dave Meros e la ricerca tipica delle barbe di un sound potente e pulito. Quello che piace nel loro modo d’intendere la musica è, sì, la tecnica messa in campo, ma anche il senso di divertimento che riescono a trasmettere (ascoltate il finale del brano e i sintetizzatori di Okumoto per farvi un’idea). In questo gli SB sono maestri e continuano con coerenza, da trent’anni a questa parte, a proporre il loro inconfondibile trademark.

I primi secondi di “Electric Monk”, zeppi di tempi dispari, ricordano da vicino i Genesis. Il drumming di Nick Potters si integra perfettamente con le partiture dei membri storici della band. Un brano più che discreto, quasi una semi ballad. La prima sorpresa dell’album è, però, la successiva “Afourthoughts”, sequel del classico “Thoughts” (diviso in due parti, su Beware of darkness e V). Stupisce come gli Spock’s Beard vogliano recuperare un pezzo ormai datato, ma caro ai fan. Non raggiunge l’eclettismo della part II con Neal Morse al microfono, ma è comunque il manifesto di cosa hanno ancora da dire le barbe oggi.

La seconda parte dell’album include i tre brani più lunghi in scaletta. S’inizia con “St. Jerome in the Wilderness” (titolo anche di un quadro di Leonardo), pezzo dall’avvio spigoloso in stile Yes. Nella parte centrale la musica diventa poetica e le barbe si avvicinano alla magnificenza dei cugini Big Big Train (attualmente tra i migliori gruppi prog in circolazione). Da segnalare anche l’eccentrico e caustico assolo di Alan Morse al sesto minuto, cui risponde poco dopo un Okumoto sotto acido.

Si prosegue con la title track, “The Archaeoptimist”, il magnum opus da venti minuti che da solo vale l’acquisto del platter. I testi raccontano la storia di una giovane ragazza che viene cresciuta dal padre in un mondo post-apocalittico, fino a diventare una sorta di leader che vede con ottimismo e speranza il futuro, proprio perché riscopre i propri un legame con il passato del mondo prima del disastro. Ecco dunque spiegato l’ossimoro presente nell’artwork, che altrimenti risulta enigmatico. Per quanto riguarda la musica contenuta nella title-track, è tutta da godere la parte funky tra settimo e decimo minuto, con un refrain catchy che s’imprimerà al primo ascolto nelle vostre meningi. È diffusile, tuttavia, descrivere tutti i cambi di tempo e di atmosfera che si susseguono; citiamo per dovere di cronaca giusto la sezione metal al quindicesimo minuto, uno dei momenti più tirati dell’intera discografia delle barbe (ma anche in “Box of spiders” nel 2016 proposero parti cattive). “The Archaeoptimist” ha tutte le carte in regola per diventare un instant classic che non può mancare in sede live, ce lo auguriamo davvero.
L’album si chiude, infine, con “Next Step”, durante i quali Ted Leonard regala emozioni e si tornano a sentire sintetizzatori in stile Genesis, ma anche certe sonorità in stile Transatlantic, band con cui ha suonato live lo stesso Leonard.

Volendo tirare le somme, The Archaeoptimist è un album più che discreto, che non intacca la fama degli Spock’s Beard, anzi ne conferma le doti compositive. Positivo l’ingresso del nuovo batterista, buona anche la produzione; peccato per l’assenza di un’altra strumentale da manuale che avrebbe arricchito la discografia del gruppo losangelino. Consigliato l’acquisto da parte di tutti i fan e degli amanti del prog rock ben arrangiato e nostalgico quanto basta.

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