Recensione: The Artifact

Di Daniele D'Adamo - 28 Agosto 2014 - 18:31
The Artifact
Band: Deceptic
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2014
Nazione:
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82

 

Nati tre anni fa sulla gelida costa nei pressi di Goteborg, i Deceptic sembravano sin da subito destinati a grande notorietà, preso atto del successo del demo omonimo, uscito proprio nel 2011, e di alcuni show esplosivi tenutisi in giro per la Svezia. Qualche cambio di line-up di troppo, invece, ne ha decretato il momentaneo stop. Momentaneo, per l’appunto, giacché proprio in questi giorni esce per la Dead End Exit Records il loro debut-album: “The Artifact”.
 
Malgrado questo inizio di carriera un po’ traballante, i tre membri fondatori William Gustafsson (voce), Tony Gullquist (chitarra) e Dennis Svensson (batteria) non si sono persi d’animo ed hanno proseguito imperterriti per la propria strada, alla ricerca dello stile più opportuno con il quale abbigliare la band. Riuscendoci al primo colpo, poiché “The Artifact” ha dalla sua tutte le caratteristiche necessarie per risultare una splendida Opera Prima, nessuna esclusa.  
   
Innanzitutto quella più ovvia, anche se difficile da rilevarsi in occasione di un generico full-length di debutto. E cioè che il full-length stesso possa sembrare tutto, fuorché una prima uscita; talmente appaia formato in tutta la sua interezza un sound assolutamente adulto, tosto e professionale. “The Artifact”, difatti, mostra una coesione d’intenti granitica, una chiarezza d’idee addirittura… avvilente per coloro che – magari dotati di maggiore esperienza – abbiano a trovarsi di fronte ad una formazione così giovane, così dotata.  
 
E questo sound, così personale, inoltre, rende difficile qualsiasi catalogazione, posto che – com’è necessario rilevare costantemente – tale operazione possa avere una sua reale utilità. Tuttavia, per dare di una foggia musicale l’idea con semplici parole, alla fine si è costretti a utilizzare qualche termine. Come metalcore. Che si adatta discretamente ai Deceptic per stabilirne il mood, anche se volendo essere oggettivi a tutti i costi questo non basta. Non basta, poiché il combo scandinavo è di più. È maledettamente heavy. Pesante, duro, massiccio, travolgente. Totalmente metal, insomma. Da obnubilare, quasi, la matrice *-core, seppur vivente.

Con una clamorosa predisposizione per la melodia, poi, tale da rendere vincente ciascuna song di “The Artifact”. Da “Heart Of The Swarm” a “Reborn” i ritornelli spuntano come funghi, con estrema facilità e naturalezza, senza alcuna forzatura. Una fluidità rara anche in un campo come quello del melodic metalcore, ove la ricerca del refrain da mandare a memoria è obbligata, quasi ossessiva.    

Così facendo, i Deceptic riescono quindi a miscelare perfettamente ferina aggressività e morbida dolcezza, ricordando in alcuni frangenti i Fear Factory proprio per tale peculiarità (“The Shining Throne”). Centrando pure alcune botte da campioni, come la splendida “Lead Astray”, rude ma delicata nel suo umore lievemente triste, melanconico. Oppure “Reborn”, il cui chorus da hit sveglierebbe anche il più addormentato e distratto dei fan.

Un talento inequivocabile nella nobile e complicata arte del songwriting, in definitiva, che segna forse più del resto la natura intrinseca dei Deceptic. Abili comunque nell’affrontare e risolvere brillantemente tutti i problemi che una giovane band si possa trovare di fronte nel concepire prima e concretizzare poi tutte le idee che le frullano in testa durante la gestazione di un disco. Soprattutto se il primo della serie.      

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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