Recensione: The Black Cat
Originariamente un trio formato da Gabriele Tarantino (basso), Ilario Suppressa (chitarra) e Damiano Relli (batteria), i Leta nascono circa un decennio fa e prendono il nome da un “cunto” salentino dedicato alla famigerata Signura Leta, un fantasma che infesta i casolari di campagna (qui trovate tante informazioni sulla leggenda).
In un secondo momento la formazione si amplia con l’entrata di Lorenzo Latino (Speedfreak) alla voce ma, ben presto, la lineup è costretta a modificarsi di nuovo ed è la volta del cantante Giacomo “James” Albanese (Serial Vice) di aggiungersi al gruppo.
Sarà, quindi, con Albanese, tutt’ora in forza, che i Leta comporranno il loro primo FL “Condemned to Flames” (autoprodotto, 2021), un disco che vanta diverse ospitate blasonate della scena underground italiana più oscura (qui la recensione di Matteo Pederetti).
Per contenuti, infatti, la band è dichiaratamente horror e come stupirsene, visto che Suppressa è un ex L’Impero delle Ombre e Witchfield, nonché presente in Muffx e Hopesend, e Relli (Ghost of Mary) è un ex Burning Seas. Il risultato, musicalmente parlando, è un doom metal con apporti psichedelici/settantiani e ispirazioni che vanno dal blues al prog.

Nel 2024 esce il video dell’inedito “Freedom“, singolo che ritroveremo nell’EP “The Black Cat” (Ivar Records, 2025), un lavoro che racconta l’evoluzione musicale della band nel corso del tempo e, rispetto all’esordio, immette nuove sonorità heavy-psych e propone nuovi brani.
Le quattro tracce di “The Black Cat” vanno dai circa 5 minuti di ‘Freedom‘ agli oltre 13 di ‘Lame‘ e testimoniano l’ancoraggio al doom con ascendenze sabbathiane del combo salentino ma la chitarra, che in “Condemned” spesso era impegnata in lunghe divagazioni psichedeliche (vedi, per esempio, il brano ‘Reality‘), qui si fa più compressa e incisiva; è il caso della title track, dove i momenti di accelerazione si alternano piacevolmente con le parti più lente e rarefatte, transitando l’ascoltatore verso le tirate quasi punk e sicuramente heavy di “Freedom“, il brano più energico del disco, nel quale anche il contributo vocale trova una dimensione più coerente con il sound complessivo, laddove, purtroppo, talvolta rischia di restare “indietro”, nonostante la capacità di passare da uno stile all’altro con mirabile facilità.
Belli i riffing di ‘Lame‘, che donano all’ossessività doom una sfumatura luciferina, così come la cupa atmosfera di ‘Around You, Inside You‘, il cui incedere malinconico e straniante prodotto dal basso sfocia nella psichedelia e trova interessanti soluzioni che rievocano Candlemass e Cathedral.
D’altra parte i Leta, lo dicevamo, si dichiarano appartenenti al doom tradizionale e “The Black Cat“, sotto questo punto di vista, non disattende la promessa, complice una produzione curata e una passione per certe sonorità che traspare in tutto il songwriting.

