Recensione: Condemned to Flames

Di Matteo Pedretti - 24 Gennaio 2022 - 12:30
Condemned to Flames
Band: Leta
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2021
Nazione:
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75

Nel folklore salentino quella della Signura Leta è la storia di una giovane che si innamorò di un ragazzo del posto, ma il loro matrimonio era osteggiato dai fratelli di lei. I due fuggirono e si rifugiarono in una masseria. Dopo aver a lungo setacciato le campagne, i fratelli – colmi di collera – scovarono il nascondiglio degli innamorati: il ragazzo fu presto stanato e ucciso, mentre la ragazza trovò riparo in un forno adiacente all’abitazione. Prima di entrarvi, però, perse una scarpa che malauguratamente finì per rivelarne la posizione. I fratelli appiccarono il fuoco alle fascine del forno e Leta morì arsa viva, maledicendoli per quegli atti abominevoli. La leggenda narra che da allora, in certe notti, una donna vestita di bianco e senza una scarpa si aggiri per le campagne e i casolari abbandonati.

Da questa storia oscura traggono il proprio moniker i salentini Leta che, costituitisi nell’autunno nel 2016, vedono inizialmente Gabriele Tarantino al basso, Ilario Suppressa (Muffx, Hopesend, ex Impero delle Ombre, ex Witchfield) alla chitarra e Damiano Rielli (Ghost of Mary, ex Burning Seas) alla batteria. Agli inizi 2017 entra in formazione il vocalist Lorenzo Latino (Speedfreak) che, costretto ad abbandonare pochi mesi dopo, viene sostituito da Giacomo Albanese con cui la band inizia a lavorare sui brani che finiranno sul full lenght di debutto “Condemned to Flames”.

L’album, uscito come autoproduzione nel dicembre 2021, è composto da sei tracce, quattro delle quali superano i 10 minuti, la cui ossatura è un Doom Metal tradizionale, anche se non mancano riferimenti ad altri generi. “Whispers in the Darkness” è un’apripista d’impatto che con i suoi riff sinistri e cadenzati rimanda agli anni Settanta, quando i confini tra Hard Rock, Proto Metal e Doom erano ancora molto sfumati, e alle lezioni di gruppi seminali come Pentagram e Saint Vitus. Su una lunghezza d’onda simile troviamo “My Moon”, con i contributi di John Goldfinch e Andrea Cardellino de l’Impero delle Ombre rispettivamente alla voce e alla chitarra, e “Nessun’alba”, il cui cantato in Italiano restituisce con immediatezza l’opprimente velo di oscurità da cui è ammantata.

Pur senza allontanarsi dal seminato (ossia il prevalente orientamento Traditional Doom), si ritrovano episodi più permeabili ad altre influenze. È il caso del Doom blueseggiante della battagliera title-track, che si distingue per la sua andatura incalzante. Altri esempi sono “Reality”, in cui passaggi propriamente Metal (per rendere l’idea pensate a una versione più ruvida e meno epica dei Candlemass) si alternano a lunghe divagazioni psichedeliche di chitarra sostenute da una base di percussioni e “Liquid Specter”, che passa dagli arpeggi soavi e dal cantato malinconico della prima parte al crescendo d’ intensità della sezione centrale per sfumare sulle note di assoli di chitarra dalle accentuate venature Prog.

Come spesso accade in questo genere, le liriche sono incentrate su di un immaginario orrorifico, oltre che sulla leggenda di Leta a cui sono dedicati alcuni brani. Questo esordio convince anche sotto il profilo della produzione, sobria ma attenta, e per la prestazione tecnica dei componenti del gruppo e dei diversi ospiti coinvolti: la resa della gran quantità di riff e assoli di chitarra di livello è anche risultato del supporto fornito da una sezione ritmica solida e puntuale. I registri vocali spaziano con fluidità dai toni aspri a quelli melodici e drammatici. Ben dosato, infine, il contributo di piano, tastiere e percussioni, che aggiungono sfumature al suono senza intaccarne la compattezza. Se proprio dobbiamo trovare un neo, questo è probabilmente da ricercarsi nel minutaggio eccessivo di alcune tracce, che avrebbero forse guadagnato in impatto e intensità grazie a una durata più ridotta e a un maggiore drenaggio delle idee, ma quanto detto non intacca la generale bontà del risultato finale.

Da “Condemned to Flames” trasuda la passione della band per il Doom inteso nella sua accezione più pura e tradizionale. Difficile cimentarsi in questo stile pensando di apportare novità significative e, in effetti, i Leta non hanno tale pretesa. Accostandosi a questo disco senza sapere che è uscito da poco più di un mese, anche l’ascoltatore più attento e informato faticherebbe a collocarlo in un momento preciso degli ultimi 40 anni. Questo costituisce sicuramente uno dei punti di forza di questa release, insieme al songwriting maturo e all’esecuzione tecnica offerta dai Nostri.

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