Recensione: The Devil Strikes Again

Di Marco Giono - 5 Giugno 2016 - 13:30
The Devil Strikes Again
Band: Rage
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2016
Nazione:
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85

 

Possibile pensare ai Rage senza Peavy? Ne siete sicuri? Una sequenza lunga tre decadi di album di qualità almeno buona, alcuni ormai diventati dei classici, una band che in Europa è sempre presente nei festival estivi in ogni sua declinazione (vedi Refuge). Un nome che attraversa la storia del metal senza per forza primeggiare nel numero di fan, la cui musica però è un tratto distintivo nell’oceano spesso derivativo del power metal. Tuttavia, una sola costante. (Rullo di tamburi) Mr. Peavy Wagner.

Lui sopravvive a ripetuti cambiamenti di formazione sin dagli esordi. Quando ad esempio perde l’allora sconosciuto batterista Jörg Michael (1985-1987), quindi deve modificare per problemi di diritto legati al nome della band da Avenger in Rage,  poi da una formazione a tre (1987-1994) con Manni Schmidt alla chitarra passa ad una formazione a quattro con due chitarristi Spiros Efthimiadis/Sven Fischer (1994-1999). Anni d’oro che vedono i Rage in grado di dare vita ad alcuni classici in una sequenza a dir poco virtuosa di cui citerei per il primo periodo, “Secrets in a Weird World” (1989), “Trapped” (1992), “The Missing Link” (1993) e per il secondo “Black in Mind” (1995), “End of All Days” (1996) , “XIII” (1998). Il terzo periodo è quello legato all’inserimento del talentuoso chitarrista bielorusso Victor Smolski (Almanac, Mind Odissey) in grado di dare vita ad un album di ottima fattura per poi raggiungere il picco compositivo con “Soundchaser” (2003).

Ad un certo punto qualcosa si è rotto. Un’ombra furtiva rapisce la magia di “21” (ultimo album con Smolski) e segna un primo passo falso nella discografia del gruppo. Innesti progressivi, persino voci in growl e distorsioni moderniste, una varietà quindi che in parte ripudia l’idea stessa su cui si è sempre fondata la musica dei Rage. Così i fan, sopratutto quelli che come me, amano il vecchiume d’annata e rigettano le novità fini a se stesse, borbottarono dissenso, per glissare preoccupati con un “per stavolta passi…

Per quella gente lì il power metal dei Rage è roba diretta che non ama le vie di mezzo. La musica dei Rage, la musica di Peavy, è una nuvola oscura che viene illuminata da lampi di melodia e diviene un cammino solitario nelle terre innominabili di Lovecraft. .

Smolski è diventato un serio problema? Secondo quanto dichiarato da Peavy nell’ intervista di Truemetal.it del 25/01/2016 Victor Smolski era diventato in fondo troppo invadente, la sua idea di musica virava verso un power fortemente contaminato dal prog con massiccio uso di inserti orchestrali. La qual cosa però per Peavy non era del tutto una novità. Basti ricordare il progetto di rivisitazione orchestrale con la Lingua Mortis Orchestra di brani dei Rage oppure le inserzioni orchestrali di “XIII” e “Ghosts”. Se il primo rimane un progetto a se stante, qualcosa di speciale,  gli altri due mantenevano comunque un approccio diretto e non troppo lontano dall’attitudine dei Rage di sempre. Malgrado quest’ultimi fossero a mio modo di vedere riusciti,  anche allora furono in parecchi tra i fan più intransigenti a storcere il naso. Cosa che per certi versi si è ripetuta con  Smolski, la cui bravura tecnica non è messa in discussione dai più, ma la sua natura musicalmente esuberante e la sua idea stessa di progressione mista a shredding, a volte esasperato, avevano reso le composizioni dei Rage sovraccariche di note, quando invece per sua natura il gruppo di Peavy tendeva alla semplicità di un power/heavy metal mai tanto centrato. Dopo una serie di album di pregevole fattura, il cui picco è stato “Soundchaser”, è giunto il tempo di ricordare al mondo che i Rage sono da sempre Peavy Wagner. Lui è il direttore che mette insieme l’orchestra per poi dirigerla con la consueta destrezza. Infatti la quarta orchestra, la quarta formazione dei Rage non può che confermare una nuova formazione a tre, solo che i prescelti sono due perfetti sconosciuti.

 

Due sconosciuti e il diavolo (di nuovo)

 

Verso metà gennaio Il diavolo si è manifestato sotto forma di un EP dal titolo esplicito “My Way”, due parole per ricordarci che la nuova strada tornerà ad essere quella di sempre. La title-track è un manifesto, una dichiarazione di intenti: il cammino dei Rage sarebbe ripartito dagli anni 90 e sembra funzionare da subito. Oltre a presentarci un nuovo brano Peavy ci fa fare la conscenza con due nuovi membri dei Rage: Marcos Rodriguez già in forza ai Soundchaser (beffardo il destino!) e Vassilios Maniatopoulos un cantante di origine greca o meglio in realtà è stato anche un tecnico delle percussioni e allievo batterista di Christos Efthimidias (amico di lunga data di Peavy e attuale batterista sia nei Refuge che nei Tri State Corner). Tutto lì? Posso solo riportare quanto espresso da Peavy a riguardo

“In ultimo li ho scelti anche perché sono amici da diverso tempo [ride n.d.a]. Penso che le relazioni personali all’interno di una band siano importanti e per far si che una band torni a funzionare, come hai in mente, devi trovare delle persone con cui prima di tutto stai bene e che abbiano un’idea simile di musica.”

Nulla da aggiungere se non che avendoli visti dal vivo il 31 gennaio all’Alcatraz di Milano di supporto agli Helloween hanno dimostrato di essere all’altezza del compito con grande entusiasmo (cosa che a mio modo di vedere non era mai mancata allo stesso Smolski, inappuntabile sotto ogni punto di vista dal vivo).

 

1995, Santa Peavy

 

Il 1995 è stato un anno straordinario per il power metal e il metal classico. Tra gli album che furono pubblicati in quell’anno possiamo ricordare: “Imaginations from the Other Side” dei Blind Guardian, “Land of the Free” dei Gamma Ray, “Masquerade” dei Running Wild, “The Marriage of Heaven and Hell – Part 1” dei Virgin Steele, “Fourth Dimension” degli Stratovarius, “Mental Reservation” degli Scanner, “Burnt Offerings” degli Iced Earth. Può bastare?  No ovviamente in questa lista parziale manca all’appello niente meno che “Black in Mind” dei Rage. Buon  Natale! Infatti Peavy nel 2016 si ritraveste da Santa Claus e intende portarci in dono il passato attingendo dal meglio dei Rage.  Una delle traccie più note di “Black in Mind” è proprio ‘Sent by the Devil’, quel brano, ormai un classico, introdotto da campane funeree a distanza, un violino che è avvertimento…si insomma roba che è puro power metal, concentrato di energia e melodia. Ora il titolo del nuovo album riprende proprio quel brano senza troppo fronzoli: “The Devil Strikes Again”.

…Non resta che scendere nelle sulfuree profondità e vedere come il diavolo se la cava ancora una volta…

La title-track non fa altro che materializzarsi in un muro distorto. Poi fa capolino la voce di Peavy ed è di nuovo il 1995, di nuovo quell’atmosfera natalizia…Si ma il brano com’è? Faster than light, back into my life, the devil strikes again! E’ roba da intossicazione formaggiosa nucleare. Rimanda, assomiglia di certo, ma in realtà è una nuova creatura. Qualcosa che ti fa sentire di nuovo a casa. C’è tanto di “Black in Mind”, ma per la verità è bellissima di suo, una melodia che sta in piedi da sola…ma quanto è bello poi sentire cantare quel faster than light con la voce di Peavy? Il resto poi funziona perfettamente: la chitarra di Rodriguez rende l’illusione di passato/presente perfetta. La batteria di Maniatopoulos, picchia e fa quello che va fatto in questi casi. Posso solo aggiugere che il testo riprende quanto raccontato da Peavy in ‘Sent by the Devil’, ossessioni, demoni, quelle cose lì. Pensavate a qualcosa tipo la moderna ermeneutica di Schleiermacher? Naaa. La seconda traccia è ‘My Way’ e la conosciamo ormai tutti, si tratta dell’ennesimo diavoletto estratto dal cilindro, qualcosa che è difficile da scrostarti di dosso. Il testo è dichiarazione d’intenti. Vi è solo una solo strada per i Rage e non altro. O power o muerte! Per chiarire ulteriormente il concetto si materializza la terza traccia ‘Back on Track’…di nuovo riff lussuriosi a spararci nel nero della mente di Peavy, fatto di inverni tetri, eternità e una melodia che sa di “The Missing Link”  e “End of all Days”, insomma qualcosa di cui non potrete fare a meno già dopo il primo ascolto.

Riff come se il vento gracchiasse beffardo. Appare la sinistra ‘Final Curtain’ che per atmosfere è tipico brano Rage, qualcosa che pervadeva album come “XIII” o “Soundchaser”, qui funziona come un orologio, sia nella melodia che nello stacco acustico.

E’ possibile usare parole simili per raccontare concetti sempre uguali senza mai annoiare? La risposta è ‘War’, nulla di nuovo, il corrispettivo di ‘War of Worlds’ ai nostri giorni, ma dannazione se funziona…la melodia esplode tipo fuochi d’artificio in un deserto notturno….for the war, yes is cynical but that’s our world! Perfetto il rullare di batteria, gli inserimenti di basso e la chitarra minimalista fino ad un assolo dal feeling definitivo. APPLAUSI.

PAUSA. Vi assicuro, ne avrete bisogno. Nella fretta abbiamo dimenticato di dare un’occhiata alla copertina di Karim König. Un teschio caprino e vermi ovunque. Tutto chiaro, come al solito. Forse fin troppo sinistra, roba che per sensazioni si avvicina agli Slayer, ma ci sta.

PLEASE STAND UP. Si, alzatevi perchè il prossimo brano corre selvaggio nella voce di Peavy, giù a perdi fiato in un/a ‘Ocean Full of Tears’ a dettare il declinare delle stagioni del metal. Perla clamorosa. Non aggiungo altro. Da ascoltare, il resto è di più.

‘Are u Deaf, Dumb and Blind?’ ci domanda ossessivamente Peavy. Forse si, se a uno non piace questo album…Tornando seri, questo è il classico martello alla Rage, roba che live farà volare teschi ovunque, scheletri fanno headbanging, mulinelli di anime in un pogo indiavolato . Ma quanto mi piace anche la prossima? Si perchè ‘Spirit of the Nights’ è di nuovo pura melodia da esclamare a squarcia gola. Anche  se solo hai capito una un paio di parole e il resto lo biascichi fanciullesco…the Spirit of the Nights lives on and on!

Riff in un crescendo avvolgemte. Una tempesta sta per arrivare? Probabile, ma ‘Times of Darkness’ alterna ritmi cadenzati con chitarre orrorifiche a passaggi melodici che paiono non essere mai conclusivi con un finale misterioso e sinistro.

La decima traccia intitolata ‘The Dark Side of the Sun’ evoca terre lontane in una sorta di epica orientale dove la voce di Peavy diventa drammatica, potente per poi colorarsi di melodia e ispirare la chitarra virtuosa di Rodriguez.

 

…my refuge (conclusione)

 

Se siete sopravvissuti fin qui, sapete come andrà finire la recensione…“ma cosa dici??? Voto troppo alto!…seguono fischi…l’avrai ascoltato un paio di volte! Ma dai è sempre la solita roba, il solito power metal! Buuuh!”

…SILENZIO! Esatto, è la solita bellissima musica prodotta da quel genio di Dan Swanö con un il giusto equilibrio tra le parti e se devo trovare qualcosa di migliorabile mi soffermerei sulla batteria che risulta leggermente sacrificata, meno potente. La qual cosa non compromette tuttavia la riuscita di un album che rifarà trovare il sorriso a quanti pensavano persi i Rage in una progressione deleteria (so che “21” a molti è piaciuto e chi fosse di quell’avviso a questo link vi è una bella recensione in proposito). “The Devil Strikes Again” è un album che colpisce nel centro del bersaglio con dieci brani su dieci facendo tornare indietro i Rage ai primi anni ‘90 ed allo stesso rendendo l’operazione credibile grazie ad un Peavy in forma smagliante, ispirato come non mai nell’atto creativo ed esecutivo. I nuovi membri poi fanno un ottimo lavoro nell’inseguire le trame melodiche senza mai andare fuori giri ed allo stesso tempo sono riusciti ad arricchire i brani ad un livello davvero alto.

I Rage con “The Devil Strikes Again” dominano il tempo e ci fanno tornare ad un’epoca d’oro spesso sospirata e il più delle volta infranta nelle promesse.  Ben tornati a casa…

 

Leave my cloud and stay away

this is my refuge

play your dirty tricks, my friend

but leave my refuge

 

MARCO “Krefeld” GIONO

 

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