Recensione: The Dust Of Years
Dopo tre demo perdutisi nelle nebbie del tempo (1989 ÷ 1990), uno split album nel 1991, un live nel 1995 e due full-length (1990, 1992) gli inglesi Seventh Angel giungono, con “The Dust Of Years”, all’ultima fatica discografica della loro antica ma discontinua (1987 ÷ 1992, 2008- ) carriera.
Assai difficile definire lo stile del gruppo. Ventitré anni di storia sono sufficienti a garantire un vissuto tale da consentire ai componenti di aver toccato con mano i più disparati generi. In particolare, l’odore della NWOBHM è pungente, e ad esso si aggiungono quelli, più tenui, dell’heavy, del thrash, del doom e, non ultimo, del prog. La fisionomia di “The Dust Of Years” è comunque segnata da lineamenti duri e rigidi; il sound è sì multiforme, ma è caratterizzato, in primis, da una costante potenza di fondo. Fatto, questo, demandabile alle chitarre fortemente distorte e compresse, affrontate nella fase ritmica con la tecnica del palm muting. Alla fine, forse, è proprio questo dettaglio che ha spinto i più a inserire il combo di Netherton nell’esteso territorio sotteso dal thrash.
Elucubrazioni enciclopediche a parte, come accennato, l’aspetto più importante è quello rimandabile al mitico magma protozoico da cui furono proiettati gli Iron Maiden, i Samson e gli altri insiemi che nacquero in Gran Bretagna alla fine degli anni settanta/inizio degli anni ottanta. Allora, ascoltando attentamente le varie tracce, si possono cogliere gli echi provenienti da leggendarie formazioni, prime fra tutte gli Angel Witch. E non a caso, gli Angel Witch. Il mood di “The Dust Of Years” è sommesso, malinconico, autunnale, a volte tetro e sulfureo. Quel tipo di atmosfere, cioè, che furono sondate pioneristicamente da Kevin Heybourne e i suoi compagni. Non solo: nel platter si possono trovare anche alcuni riferimenti ai Sabbat; altra band permeata dallo stesso senso d’inquietudine e di ansia, ma notevolmente più arcigna nell’approccio musicale. Grande attenzione alla tradizione, quindi, con l’ovvio rovescio della medaglia: una personalità troppo dimessa e dispersiva, in difficoltà nel raccapezzarsi fra le varie influenze citate.
Difficile riuscire a metabolizzare “The Dust Of Years”, con le sue innumerevoli sfaccettature che possono facilmente fuorviare chi ascolta, rendendone in tal modo ardua l’assimilazione e la memorizzazione. Complesso, anche, il sistema di scrittura, che se da un lato dimostra inequivocabilmente l’esperienza e maturità dei musicisti, dall’altro conduce, forse, a un prodotto troppo adulto, poco comprensibile ai più. È come se tutto il processo compositivo fosse troppo forzato, anzi, sforzato e affaticato. Questa fatica si percepisce facilmente ed è mutuata in un analogo impegno per chi affronta le varie canzoni. La durata di un’ora, infine, non aiuta quello che dovrebbe essere un processo d’interiorizzazione sciolto e istintivo, anche se per onestà intellettuale appare corretto citare alcune canzoni abbastanza riuscite.
“In Ruins”, ad esempio, che mostra forse più delle altre la teorica bontà artistica dei Seventh Angel, fra atmosfere lugubri e profonde, ritmi coinvolgenti, melodie arcane, groove caldo e aggressività delle linee vocali. “Abélard And Heloise”, dall’incipit «gregoriano», le piacevoli parti narrative, la potenza delle chitarre, le dolci armonie regalate dalla voce femminile. “The Turning Tide”, ove dimorano i rari tratti più rapidi dell’album. Il resto non è da gettare, ma è troppo pachidermico, stancante e, inesorabilmente, noioso.
Nonostante l’evidente buona volontà, una certa classe, l’impegno, la professionalità e il supporto di vari musicisti esterni, i Seventh Angel non riescono a far decollare “The Dust Of Years”, destinato a rimanere impantanato nella tediosa palude ove vagano indefinitivamente le Opere incompiute.
Peccato.
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Track-list:
1. Chaos Of Dreams 5:08
2. The Turning Tide 5:00
3. Exordium 6:06
4. Weep Not For Us 6:10
5. Abélard And Heloise 6:31
6. In Ruins 7:11
7. Lamentations 7:33
8. The Raven Sky 10:04
9. Oświęcim 5:28
Line-up:
Ian Arkley – Lead vocals, lead and rhythm guitar, ebow
Simon Bibby – Rhythm and lead guitar, lead vocals, keyboards, acoustic guitars, ebow
Mark Broomhead – Bass, background vocals and narration (“Abélard And Heloise”)
Andrew “Tank” Thompson – Drums
Guest musicians and performers:
Cat Brazier – Flute
Greg Chandler – Background vocals and keyboards
Peter Spencer – Narration (On “Oświęcim”)
Kate Hamilton – Narration (On “Abélard And Heloise”)