Recensione: The Electric Age

Di Vittorio Cafiero - 13 Aprile 2012 - 0:00
The Electric Age
Band: Overkill
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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85

Per chi segue assiduamente la musica, specialmente quella rock, l’uscita del nuovo album di una band di successo è sempre un piccolo evento: ci si chiede se le attese saranno rispettate, se ci sarà la capacità di ripetersi ai grandi livelli del passato, di replicare quanto di buono già fatto. In parallelo, il timore è quello di avere a che fare con un lavoro di maniera, svuotato di entusiasmo, privo della carica dei bei tempi.

Gli Overkill, veterani delle scene e attivi fin dai primi anni ’80, hanno dato prova nel corso degli anni di un’ottima tempra, anche se in alcuni casi hanno mostrato il fianco a relativi cali di ispirazione. Caso abbastanza raro per una band con tanti album all’attivo, con il precedente “Ironbound” del 2010 hanno inaspettatamente regalato ai loro fans (e agli appassionati di buon metal in generale) un album non solo formalmente ottimo, ma addirittura eccezionale in termini di ispirazione e songwriting. L’uscita di questo nuovissimo “The Electric Age”, diciamolo subito e senza preamboli, conferma appieno quanto di buono già ascoltato sul precedente lavoro e non può non portarci a pensare di avere a che fare con una band eccezionale che, trovata la quadratura del cerchio in termini di line-up, stia godendo di un momento di forma davvero fantastico e che riesca allo stato attuale a porsi un gradino sopra non solo i giovani gruppi con la smania del revival, ma anche i mostri sacri del genere. Non è poco.

Al di là dei facili proclami, al di là dei fanatismi (magari anche giustificati, in un certo senso) raramente negli ultimi anni era capitato di ascoltare una band così in palla. Oltre all’ottimo songwriting, che già da solo giustificherebbe un giudizio positivo, gli Overkill versione 2012, grazie anche ad una produzione stellare e ad arrangiamenti di grandissima classe, riescono a risultare unici. Ma approfondiamo questi due elementi: i suoni sono definiti, puliti e potenti, ogni singolo strumento si sente alla perfezione in un mix eccezionale; al giorno d’oggi non è impensabile riuscire ad ottenere un buon risultato in studio, ma il risultato ottenuto dal mastermind D.D. Verni dietro la consolle si dimostra di un altro pianeta: nessuna plastificazione, nessun effetto bombastico, solo grande professionalità e perfetta scelta delle soluzioni da adottare. Gli arrangiamenti, poi, sono sublimi, a dir poco. Gli esempi sono molteplici in questo senso: solo per citarne qualcuno, dall’inizio in crescendo ed esplosivo di “Come And Get It”, al break centrale del primo singolo “Electric Rattlesnake”, alla partenza devastante di “Wish You Were Dead”: basta scorrere la scaletta dall’alto verso il basso e in ogni singola traccia si potrebbero trovare elementi da mettere in risalto per quantità e qualità. In buona sostanza, “The Electric Age”, come del resto il suo predecessore, non è solo un pugno di ottime canzoni, ma è lo stato dell’arte di un certo tipo di musica. Non lasciatevi poi trarre in inganno dalla mancanza di un anthem come poteva essere una “Ironbound”, una “Bring Me The Night” o, andando più indietro, una “Elimination” o una “Rotten To The Core”: è proprio la compattezza e l’alta qualità generalizzata dei pezzi il punto forte di “The Electric Age”, che, dall’inizio alla fine, non lascia un attimo di respiro.

Altro elemento a favore degli Overkill, poi, è la fantastica alchimia che si è venuta a creare tra i singoli elementi nel corso degli ultimi anni; oltre ai due ‘padrini’ Bobby Ellsworth e D.D. Verni, sui quali tante parole di elogio sono già state spese, pare doveroso spezzare questa volta una lancia sul lavoro svolto dalla solista del mai troppo celebrato Dave Linsk: il Nostro, pur senza il tocco preciso e chirurgico di un Broderick o di un Loomis, si dimostra di un’efficacia incredibile attraverso un feeling quanto mai evidente e un’incisività che lascia il segno, vuoi anche per la scelta di suoni davvero decisivi (ma è il ‘crunch’ delle chitarre in tutto l’album ad essere stupefacente); l’assolo di  “21st Century Man”, così simile a certe soluzioni à la Marty Friedman dei tempi migliori, non è probabilmente certosino come quelli dell’axe hero oramai naturalizzato giapponese, ma scorre via che è un piacere. Allo stesso modo da menzionare quello della successiva “Old Wounds, New Scars”, mentre in “All Over But Shouting” è tutto il rifferama da lodare, stavolta più orientato verso soluzioni più ‘grasse’, come se il combo del New Jersey avesse per quest’occasione fatto un bagno di salute nelle acque della Baia di San Francisco, adottando uno stile più vicino alle thrash band di quella zona (Exodus su tutte).

Assoluto carisma, piena consapevolezza delle proprie capacità, nessun bisogno di stupire con trovate ad effetto, totale controllo della propria potenza. In “The Electric Age” si percepisce il vero talento di una metal band. Una seconda giovinezza probabilmente inattesa, arrivata proprio nel momento di rinascita del genere che, proprio grazie alla sua intensità, li pone al momento come i veri padri della scena.

Al momento, la migliore thrash metal band al mondo.

Vittorio “Vittorio” Cafiero

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Tracklist:
1. Come And Get It
2. Electric Rattlesnake
3. Wish You Were Dead
4. Black Daze
5. Save Yourself
6. Drop The Hammer Down
7. 21st Century Man
8. Old Wounds, New Scars
9. All Over But The Shouting
10. Good Night

Durata: 50 minuti ca.

Line-up:
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
D.D. Verni – Bass
Dave Linsk – Lead Guitar
Derek ”The Skull” Tailer – Rhythm Guitar
Ron Lipnicki – Drums

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