Recensione: The Fall of Hearts

Di Andrea Poletti - 22 Maggio 2016 - 0:00
The Fall of Hearts
Band: Katatonia
Etichetta:
Genere: Alternative Metal 
Anno: 2016
Nazione:
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83

“Un cuore che cerca sente bene che qualcosa gli manca; ma un cuore che ha perduto sa di cosa è stato privato.”

J.W. Goethe

La malinconia sola riesce a far comprendere cosa sia l’assenza di un sorriso, non esiste giorno senza la comprensione del buio, non v’è limite all’incertezza del vivere dato come massima espressione dell’incognito. Il cuore, quale sentimento, battito, vita, rosso passione e desiderio; ogni morte è prodotta dal mancato pulsare del nostro arto: senza cuore, non siamo.

The Fall of Hearts”: Fall è traducibile come caduta, autunno, diminuzione o abbassamento. Molteplici significati che portano ad una sola conclusione: non ci sono più sentimenti; come l’onnipresente uccello, quale simbolo di libertà incondizionata del gruppo, in procinto di schiantarsi al suolo, non vi sono più ragioni per avvicinarsi al prossimo, non esistono emozioni. L’autunno del cuore è pregno di foschia, come le nostre vite quotidiane che costantemente dimentichiamo di vivere; sempre più concentrati sugli altri, si compiono gesti per mostrarli e non più per il gusto della scoperta. Siamo un poster promozionale da ammirare che evita di farsi strappare per celare cosa sotto si nasconde; a pochi metri da terra non ci siamo ancora resi conto che lo schianto è ad un palmo dal nostro naso, proprio come la copertina, mentre l’albero spoglio ci ricorda che non crescono più frutti sui nostri rami.

tuuududu tudududu…(ammettilo che la stai cantando)

Ascoltare i Katatonia è come ascoltare il proprio battito cardiaco a ribasso, la città si sfoca, le luci si abbassano anche se il giorno risplende, i rumori si attutiscono e ci lasciamo avvolgere caldamente dalle braccia di una band che, solamente per gli amanti, porta ad avvicinarsi sempre più all’io inconscio. Una lacrima scende, i ricordi entrano in circolo, la voce di Jonas recita melodie astratte per lasciarci suonare una musica nella testa a noi familiare. Non più sonorità effimere, armoniose e delicate come su “Night is the New Day” ne tantomeno rarefatte ed astratte al pari di “Dead End Kings”, c’è aria di qualcosa lasciato indietro in passato. Un album scritto col cuore, con la passione e la professionalità che lascia intravedere questo “The Fall of Hearts” quale diretto successore di “The Great Cold Distance”, attraverso più o meno indirette sfumature prese da quel capolavoro denominato “Viva Emptiness”; due album che costituiscono il ponte diretto verso il contemporaneo. Anche “Sactitude” compare da un angolo nel buio attraverso le leggere percussioni ed armonizzazioni percepibili quali dettagli, lasciando quest’album trasformarsi da buono ad ottimo. La forza dei Katatonia è quella di rimanere palesemente fedeli al loro essere, aggiungendo e togliendo dettagli che rendono ogni nuovo album una scoperta entro territori prima d’ora inesplorati.

Dovrei parlare, del cambio di line-up con l’ingresso alla chitarra dell’ex Tiamat, Öjersson, dell’arrivo di Moilanen dietro le pelli, ma che serve? Ognuno di noi sa che al timone ci sono, ci saranno sempre Renske e Nyström, dunque a pro continuare? 

Torniamo a parlare di emozioni, non di soggetti singoli perché gli album con questo moniker in copertina sono costruiti da sensazioni non tecnicismi, non vanno letti attraverso ipotetica professionalità ed il desiderio di mostrarsi grandi conoscitori: senz’anima tutto diviene un inanimato vuoto a perdere.

Per ogni sogno che ho lasciato dietro di me

Mi inginocchio

Per ogni battaglia che combatto dentro me

Sento il suono

Di un ennesimo giorno in questa futile vita

Diventata polvere 

The Fall of Hearts” è un album che ad un primo ascolto non entra in circolo alla perfezione, ha un contrasto incoerente al suo interno che non viene decifrato sino a quando, dopo una decina e oltre di ascolti, entra in circolo diventando droga ad assunzione obbligatoria previa soffocamento. Il disco più lungo dell’intera carriera, l’album che ad oggi racchiude la totalità delle sfumature compositive intrinseche della band; come i grandi artisti che non inventano nulla ma copiano dai maestri per farne tesoro, così i Katatonia prendono spunto dal loro stesso repertorio, stravolgendo in parte la forma canzone classica e ponendo le basi per una nuova primavera. Un cielo costellato dalle foglie autunnali quali stelle nel cielo, dove anime alla deriva decantno la fine dei tempi. Citare ogni canzone singolarmente non porta a nessun effetto, probabilmente la sintesi migliore è quella intravedere lungo la tracklist tre macrogruppi all’interno dei quali la svolta artistica è stata gradualmente cesellata. La componente più introspettiva e malinconica che prende e nasce da brani quali “Old Heart Falls”, “Decima”, “The Night Subscriber”, “Shifts” e “Pale Flag” per avvicinarci ad una consapevolezza del creato con composizioni che giocano sui chiaroscuri quali l’iniziale “Takeover”, “Sanction”, “Residual” e “Last Song Before the Fade”. L’ultimo step, quello che sorprende maggiormente in proporzione alle ultime due uscite, è il mantenimento della promessa da parte di Nyström, tempo addietro aveva affermato che nel nuovo album dei Katatonia avremmo trovato ritmi più sostenuti e così è stato: “Serein”, “Serac” e la conclusiva sensazionale “Passer” sono agli antipodi del preconcetto alla base degli album dei nostri, ma fungono quale collante verso travolgenti gioie inaspettate.

Perchè non le descrivo? Molto semplice, che gusto ci sarebbe nell’ascoltare lasciandosi cullare? Cosa sarebbe la musica stessa dopo un’analisi che diventerebbe antitetica all’ascolto?

La peculiarità che risalta alla conclusione dell’assimilazione completa dell’album, che richiede come già confermato molteplici ascolti, è quello di trovarsi finalmente di fonte ad un grande insieme dinamico ed in constante conflitto tra meditazione e aggressività; non è più presente quella linea comune che legava bene o male ogni singolo brano del passato. Certamente gli inserti delle orchestrazioni, le percussioni, il cambio di tonalità vocale leggermente più aggressiva e tagliente, portano in dote anni di studio, ma questo non basta. Ciò che rende sopra ogni fattore “The Falls of Hearts” il migliore album da “The Great Cold Distance” è l’atmosfera di rinascita che si respira senza arte ne parte.

Il decimo album in casa Katatonia potrebbe diventare il nuovo gioiello che smentisce definitivamente la leggenda che vede i primi album di ogni artista come migliori i dell’intero catalogo. L’autunno del cuore è alla spalle di ognuno di noi, il sole tende a non aumentare la sua presenza giornaliera e il volo in picchiata vero lo schianto confermato ci delinea un vivere inquieto e altrettanto ipotetico. V’è una sola conferma al nostro futile vivere, la morte, ma sino a quando avremo la fortuna di ascoltare musiche di tale caratura, tutto parrà più lento, ma inaspettatamente continuerà ad avere battito.

“Dove le parole finiscono, inizia la musica…” 

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