Recensione: The Final Separation [Reissue]

Di Stefano Ricetti - 29 Gennaio 2010 - 0:00
The Final Separation [Reissue]
Band: Bulldozer
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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76


Forti del contratto Roadrunner i guerrieri meneghini Bulldozer sfornano il secondo album della carriera dal titolo The Final Separation e dalla copertina oscena, probabilmente da top ten del peggio del decennio compreso fra il 1980 e il 1990. Tutto accade non per caso, nel senso che è proprio la plenipotenziaria etichetta a scegliere foto e artwork senza preoccuparsi di sentire come la pensa la premiata ditta Contini/Panigada ed eruttare nei negozi l’album, nel febbraio del 1986. Il fine è, chiaramente, quello di “vendere” sul mercato i Bulldozer come la copia più credibile e sostenibile dei Venom alle latitudini del Mediterraneo. Al di là del valore intrinseco dei brani componenti il disco, è la produzione la vera pecca di tutta l’operazione. La release su Cd in versione remaster da parte della label Metal Mind operata nel 2007, oggetto della recensione, riesce a mitigare l’effetto nefasto ottenuto anni fa sul suono dei cingolati più famosi d’Italia, fortunatamente.

La confezione in digipak corazzato non delude di certo le attese: oltre alle quattro pagine relative alla storia della band in lingua inglese campeggiano delle bellissime foto dei tre Bulldozer con alle spalle l’azzurro del cielo e già in formazione quello che diventerà il sostituto di Don Andras, ovvero Rob “Klister” Cabrini. Il booklet di dodici facciate propone poi tutti i testi, l’interno della cover principale è dedicato a uno scatto durante il periodo di Fallen Angel – quindi con la line-up a quattro elementi – e, per chiudere, il retro riporta l’immagine originale comparsa a suo tempo sull’Lp, con Andras, Panigada e Contini in versione “urinaria”. Di schiena, ovviamente.

Il disco inizia con i quasi cinque minuti della title track The Final Separation: brano malvagio, oscuro e fetido dal riff ipnotico, uno di quei pezzi che suggellano il salto di qualità da parte di un gruppo. Immenso il lavoro alla sei corde da parte di Andy “Bull”, sostenuto da una sezione ritmica a pieno regime, che di diritto lo fa entrare a far parte di quei must irrinunciabili da proporre dal vivo. In una sola parola, un classico. Speed Metal a manetta in Ride Hard-Die Fast, traccia nella quale il titolo pare vomitato direttamente dagli inferi, da parte di un AC Wild particolarmente ficcante. Da sottolineare il tangibile miglioramento della tecnica chitarristica di Andrea Panigada che unisce, oltre alla tipica alta velocità masturbatoria – Riva docet -, il dovuto feeling al proprio strumento.

Restando in tema, The Cave si apre fra i gemiti di una vergine (???) – leggere attentamente il testo per accertarsene – per poi ripercorrere la lezione pesante dei Motorhead. Ancora sesso in primo piano con l’inequivocabile Sex Symbols’ Bullshit, canzone veloce e irridente i presunti infaticabili stalloni del rock biz. Se innegabile è l’influenza degli inglesi Tank sul trio milanese in quest’ultima traccia la sterzata avviene, e in modo piuttosto brusco, con “Don” Andras, ovvero l’apprezzabile – e fino a quel momento inedita – parodia in chiave metallica estrema di una tarantella napoletana, lingua inclusa. E’ la dimostrazione vivente che i Bulldozer non hanno paura di niente e nessuno, altrimenti non si spiegherebbe in altro modo l’inserimento di un brano discusso e discutibile come quello intitolato al Loro chitarrista baffuto.

Classic killer Bulldozer sound targato 1986 in Never Relax! e Don’t Trust the “Saint” ma è con la lugubre ed epica The Death Of Gods che i Nostri si superano: dieci minuti di orgasmo nero in salsa metallica dall’andamento profondo e pesante, a mo’ dei Black Sabbath più pericolosi. Il pezzo posto in chiusura dell’album originale infatti mostra un lato fino a quel momento inedito da parte di AC Wild e soci, ovvero l’immersione in territori dark, senza però abbandonare del tutto le sfuriate veloci, tipiche del Loro trademark. La versione digipak del disco cala definitivamente il sipario con la bonus track Another Beer (It’s What I Need), tratta dal 45 giri del 1984: puro divertimento in alta velocità dal valore storico e poco più… aaaahhhh!

The Final Separation mostra una band in fase di netta maturazione che sempre più assume una fisionomia propria, che verrà definitivamente consacrata nel disco successivo.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti


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Tracklist:
1. The Final Separation
2. Ride Hard-Die Fast
3. The Cave
4. Sex Symbols’ Bullshit
5. “Don” Andras*
6. Never Relax!
7. Don’t Trust the “Saint”
8. The Death Of Gods
9. Another Beer (It’s What I Need) – bonus track

Line-up:
AC Wild – Vocals, Bass
Andy Panigada – Guitars
Don Andras – Drums, Vocals*

 

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