Recensione: The Fish Who Wanted to Be King

Di Roberto Gelmi - 22 Ottobre 2023 - 15:00
The Fish Who Wanted To Be King
Band: Lalu
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Progressive 
Anno: 2023
Nazione:
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88

The Fish Who Wanted To Be King è il degno successore di Paint The Sky, uscito nel 2022. Vivien Lalu vive un momento di grande qualità creativa e il nuovo concpet album ne è la conferma. Il disco si dimostra longevo e ricco di arrangiamenti suggestivi e d’impatto, potente e bilanciato al contempo. Riconfermato inoltre Damian Wilson alla voce (ex-Threshold, Headspace, Ayreon) che conferisce riconoscibilità al platter e lo iscrive di diritto tra le proposte più significative nel panorama progressive del 2023.

L’opener “Forever Digital” è un pezzo di rara efficacia, dove la potenza convive con un approccio armonico che non perde mai di vista un intento di trascinante ottimismo. La sezione strumentale che si dipana da metà brano è di pregevole fattura, parliamo di musica progressive che senza eccedere in inutili tecnicismi riesce comunque a ispessire la propria essenza e stupire l’ascoltatore.

E che dire della title track? “The Fish Who Wanted to Be King” con i suoi undici minuti è tra le composizioni migliori del 2023. L’avvio è catchy e coinvolgente, gl’inserti di pianoforte rendono tutto ancora più fatato (e si sentono echi dei grandi Yes sullo sfondo), il basso pulsa, la sezione ritmica non manca un colpo. Joop Wolters infila un assolo da manuale e poi l’atmosfera di colpo si fa sospesa… Il pezzo sembra finito e invece risorge dalle ceneri con una sezione psichedelica che regala un Damian Wilson in veste inedita. Praticamente un intero disco contenuto in una suite che anche dopo decine di ascolti regalerà emozioni anche ai palati più esigenti.

Deoxyribonucleic Acid” e “Is that a London Number?” ripropongono il lato divertito dei LALU. La band trasmette una gioia contagiosa nell’alchimia di suoni e nell’affiatamento in studio. Oltre al regno dei sintetizzatori anche le parti di chitarra si ritagliano i giusti spazi e il risultato è un ottimo bilanciamento.

Vista la scaletta concisa del platter, mancano solo tre brani alla fine del concept, ma la sola “Amnesia 1916” copre quasi un quarto d’ora di minutaggio. Il titolo rimanda al periodo storico in cui nacque Dada. Lalu tenta di riproporre la follia creativa della famosa avanguardia artistica ma con il suo approccio musicale che non ha niente a che vedere con l’attuale approccio progressive vicino alle asprezze djent e ai ritmi spezzati di band come Leprous o Tesseract. Per comprendere l’eclettismo del mastermind francese basti la seguente “A Reversal of Fortune”, strumentale con nuance jazz che non può non lasciare entusiasti: se una band come i Dream Theater suonassero ancora così grideremmo al miracolo!

Il sipario cala con le note di “The Wandering Kind”. Non è il tipico pezzo di chiusura dai ritmi dilatati e magone immancabile. Parliamo invece di una traccia frizzante, che chiude il cerchio in modo pomposo e corale: la voce di Damian Wilson è l’ideale per trasmettere energia e positività.

 

Quando parliamo dei LALU non possiamo che dirci entusiasti, la musica messa in campo convince perché ispirata da un genuino amore per le sette note: il talento del figlio d’arte Vivien Lalu continua a stupire, fate vostro The Fish Who Wanted to Be King.

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