Recensione: The Grave Digger
Sono un grandissimo fan di questa band, e aspettavo con ansia questo cd. Ce
  l’ho sottomano ormai da più di 3 settimane, mi sono preso tutto il tempo
  per recensirlo con serietà, imparzialità e raziocinio, e mi pare
  giusto pubblicare la recensione appena qualche giorno prima del giorno di uscita
  ufficiale europeo. Ho letto altrove recensioni entusiastiche, c’è stato
  addirittura chi ha etichettato questo nuovo lavoro come il miglior album dei
  Digger di sempre. Non ascoltate queste voci insensate, c’è chi
  per attirare i lettori deve per forza fare sensazione. Tra l’altro mi sembra
  anche un insulto nei confronti dei lettori recensire un album del genere in
  2 o 3 giorni, giusto per arrivare prima delle altre riviste online, come
  pure ritengo ridicolo pubblicare una recensione un mese prima dell’uscita ufficiale
  dell’album.
Da poco abbiamo pubblicato una breve biografia dei GD, se non l’avete letta,
  approfittatene ora. Ciò che dovreste sapere è che la band ha pubblicato,
  prima di questo disco, una trilogia epica, composta da 3 concept album, dedicati
  rispettivamente alla Scozia di Braveheart, ai Cavalieri del Tempio e al mito
  di Re Artù. Dopo “Excalibur”, tutti noi appassionati dei
  Digger sapevamo che ci sarebbe stato un ulteriore cambiamento nello stile della
  band, che nel frattempo è maturata enormemente, fino a diventare
  una tra le più importanti realtà metal europee. Insomma, sapevamo
  che i Digger non sarebbero potuti tornare allo speed(thrash?) delle origini,
  come pure sapevamo che avrebbero abbandonato la decisa vena epica degli ultimi
  3 capolavori.
Ora che l’attesa è finita, mi permetto di darvi una risposta tra queste
  righe. 
Il nuovo sound dei nuovi Grave Digger eredita parte della potenza e dell’atmosfera
  degli ultimi 3 lavori, i cori abbondano, i riff ora sono più cupi,
  gli assoli sono forse i migliori di sempre. C’è qualcosa che fin da subito
  stona, la batteria non è mai protagonista, mai sopra le righe
  e anche registrata a un volume troppo basso.
Purtroppo anche la voce, da sempre la caratteristica più unica dei Digger,
  pare perdere qualcosa. Scordatevi le urla continue dei primi dischi, scordatevi
  di le interpretazioni al limite del collasso delle corde vocali alla “Braveheart”,
  i crescendo impetuosi alla “The Curse of Jacques”, la passione bruciante
  di “The Ballad of Mary” e “Emerald Eyes”. Chris mantiene
  un tono basso e controllato in tutte le song, il che, unito ai ritmi leggermente
  meno incalzanti che nelle produzioni precedenti e al sound cupo dei riff, crea
  un’atmosfera oscura, grave, tetra. 
Probabilmente la scelta è adatta al tenore dei testi delle song e perfetta
  per un album che si chiama “The Grave Digger”, ossia lo scavatore
  di fosse. Le canzoni sono gotiche, con qualche venatura di doom, dimentichiamoci
  dell’irriverenza, della leggerezza e dell’ironia dei lavori antecedenti a “Tunes
  of War”. Siamo di nuovo di fronte ad un album a tema, col quale stavolta
  i Digger celebrano i grandi maestri dell’orrore, primi tra tutti Edgar
  Allan Poe e il suo ‘allievo naturale’ H.P. Lovecraft. Insomma, se vi aspettavate
  l’esaltazione del mito Grave Digger, lasciate ogni speranza e preparatevi per
  un macabro viaggio nell’incubo. 
Sulle singole song: finora la mia preferita è la song di chiusura “Silence”
  (escludendo la bonus track), un’ottima ballata crepuscolare, nella quale Chris
  ci ripropone il classico crescendo che abbiamo già ascoltato nei dischi
  precedenti, partendo da una voce pulita per arrivare al suo solito tono roco
  ed inconfondibile. Notevole anche la più classica “Son of Evil”,
  peccato per “The Grave Digger”, che è bella, veloce, coinvolgente,
  ha un bridge eccezionale ma un ritornello veramente indegno, che pare preso
  dalla sigla dei cartoni animato di robot giapponesi. “Raven” è
  fin dal titolo un’ennesima citazione all’immortale maestro Poe, ed è
  veramente un pezzo grintoso e azzeccato. Anche in “The House”, che
  mi ha commosso perchè si sente finalmente un gridolino di Chris, abbiamo
  il riferimento a racconti come “La rovina della casa degli Usher”,
  sempre di Poe, e “La casa evitata” di Lovecraft.. “King Pest”
  è da segnalare, non solo perchè parte con il mitico urlo “allright”
  di Chris, ma perchè è la canzone più vecchio stile dell’album,
  una nostalgica fusione tra le sonorità attuali e lo stile del periodo
  pre “Tunes of War”. In “Haunted Palace” da sentire il grande
  finale con la chitarra protagonista assoluta. E se ancora aveste dei dubbi sulla
  fonte d’ispirazione di questo album, sappiate solo che il titolo della bonus
  track è “Black cat”; ‘Il gatto nero’ è ancora una volta
  il titolo di un racconto di Poe. 
In questo album le parti di chitarra sono tecnicamente eccelse, ottimi i riff
  e gli assoli, registrati a un volume abbastanza alto da ‘occultare’ gli altri
  strumenti. La scelta, senza precedenti, di tenere il tono della voce sempre
  basso e controllato sarà criticata da ogni vecchio fan dei Digger,
  nonostante sia necessaria per contribuire all’atmosfera tetra di tutto l’album.
  Incomprensibile la mancanza di incisività della batteria in molti pezzi.
  L’album è un continuo ispirarsi alle più famose opere della letteratura
  horror, la funebre cadenza di ogni canzone lo rende la colonna sonora ideale
  dei racconti dei maestri dell’orrore. 
  Il nome “The Grave Digger” dato all’album si riferisce quindi più
  allo stato d’animo macabro a cui ha mirato il songwriting che ad un auto tributo
  alla band da parte di Boltendahl e compagni.
“The Grave Digger” è un gran bell’album, discutibile e criticabile,
  ma comunque valido.
  Se siete già fan dei Grave Digger, allora sapete che gli album dei
  Digger si comprano senza esitazioni. Se invece non avete ascoltato
  nulla di questa band fenomenale, procuratevi assolutamente “Tunes of War”,
  “Knights of the Cross” ed “Excalibur” in quest’ordine, e
  solo dopo averli consumati potrete passare a questa nuova uscita. Stessa cosa
  consiglio a chi ha già ascoltato i Digger ma non ha tutti e 3 questi
  album capolavoro.
Tracklist:
01. Son of Evil
  02. The Grave Digger
  03. Raven
  04. Scythe of Time
  05. Spirits of the Dead
  06. The House
  07. King Pest
  08. Sacred Fire
  09. Funeral Procession
  10. Haunted Palace
  11. Silence
  12. Black Cat (bonus)
                





