Recensione: The Grinding Wheel

Di Nicola Furlan - 27 Febbraio 2017 - 9:51
The Grinding Wheel
Band: Overkill
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2017
Nazione:
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83

Gli Overkill sono una di quelle band che cederà il passo solamente nel momento in cui i suoi membri storici non riusciranno a stare in piedi davanti al proprio strumento. Sono una di quelle band che per continuità e coerenza portano avanti, oramai da quasi quaranta anni, il loro credo fatto di purissimo ‘NY thrash metal’. A differenza di moltissime realtà che, nel tempo, per un motivo o un altro hanno abbandonato il loro lavoro on the road per incapacità nello sviluppare idee efficaci, gli Overkill non hanno mai abbassato il capo. Sono passati praticamente indenni tra le forche dell’alternative rock e del grunge degli anni Novanta. E sebbene proprio i dischi pubblicati in quel periodo mostrassero qualche cedimento (“W.F.O.”, “The Killing Kind” e “From the Underground and Below”), il gruppo non ha mai abbandonato l’idea di poter dare continuità a questa straordinaria corrente artistico-musicale.
Ma già a ridosso del 2000 ecco che il quintetto spara fuori un certo “Necroshine”. Il disco è una mazzata nei denti senza pari. Se ci è permesso considerare la loro prima era coincidente con le release che vanno dall’esordio “Feel the Fire” ad “Horrorscope”, proprio con “Necroshine” gli Overkill dimostrano come il thrash metal sopravviverà per sempre in quanto troppo coinvolgente e potente per non incontrare i più profondi istinti della gente. Da quel momento in poi, fino ai nostri giorni, capitolo mediocre “Bloodletting” (2000) a parte, il combo capitanato dal carismatico Bobby ‘Blitz’ Ellsworth ha inanellato un disco più bello dell’altro. Tra questi anche un vero e proprio masterpiece del thrash metal moderno ovvero quell’“Ironbound” che ha visto anche il gruppo muoversi con un piglio di assoluto valore sul paco nel relativo tour. Il modus componendi da “Ironbound” in poi si è attestato su questa soluzione vincente: potenza-velocità-groove.
Su “The Grinding Wheel” qualcosina è cambiato. Il diciottesimo full-length della loro carriera suona con tanto, ma tanto gusto. La band sposta l’ago che orienta il processo compositivo verso un qualcosa di più catchy rispetto al recente passato mescolando strutture thrash ad altre più rock dando vita di fatto ad un flavour musicale complessivo quasi, mi si passi il termine, ‘thrash n’ roll’. Uno degli elementi che da sempre hanno caratterizzato gli Overkill è il cantato di Bobby ‘Blitz’ Ellsworth, da sempre espressivo e caustico, caratteristico come pochi altri. Bene, premesso che l’ugola del frontman è ancora al top come un tempo, così come continuiamo a parlare di prestazione eccellente, c’è anche da evidenziare un leggero calo negli alti, con conseguente leggero idebolimento di quel tagliente modo di cantare che da sempre ne caratterizza la personalità. Sfumature si intende, ma che vengono percepite da chi segue le prestazioni del cantante da quasi trenta anni. È però ancora emozionante ascoltare la profondità con cui il singer approccia ai brani. Qui poi, a volerla dire tutta, è presente una notevole cattiveria con cui ‘Blitz’ riesce a ruggire. Questa è l’evidenza del grande talento che lo caratterizzerà fino alla fine della sua carriera. Ne siamo certi.
A livello ritmico il disco è molto groovy, coinvolgente e solido così come sono ben studiati i soli. Questo ultimo aspetto, che conferma nuovamente le notevoli sensibilità e doti esecutivo-compositive di Dave Linsk, è certamente uno dei punti di forza di “The Grinding Wheel”.
Ritmicamente parlando vi troverete ad ascoltare un disco coerente, massiccio. Sarà anche il mio debole per il fottuto modo di pestare thrash di Ron Lipnicki, ma trovo gli spunti ritmici alle pelli di questo disco di una incisività e di un gusto fuori dal comune.
La band ha poi ideato una raffica di opener ed intramezzi che faranno la felicità assoluta dei fan in sede live (provate ad ascoltarvi pezzi come ‘The Long Road’ piuttosto che ‘Come Heavy’).
La produzione è (finalmente) leggermente difforme dal tipico ‘Made in Nuclear Blast sound’. Le chitarre ruggiscono distorte trasportando la mente vero quel tipico sound di inizio anni Novanta che era in grado di bilanciare con saggezza il rapporto tra ‘sporco/pulito/potente’. E se non vi basta il CD, potete averlo anche in vinile e cassetta.
E poi, quanta coerenza con l’artwork! Mai copertina è stata più azzeccata! Quei meccanismi stridenti fino a far scintille fotografati virtualmente mentre ruotano pesanti gli uni sugli altri… beh, metaforicamente quell’immagine è tutto quanto troverete qui dentro.
Dirvi che sono soldi spesi bene è riduttivo. Dirvi che farete un vero e proprio investimento è qualcosa di certo.

Nicola Furlan

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