Recensione: The Last Convoy

Di Andrea Bacigalupo - 24 Settembre 2020 - 8:30
The Last Convoy
Band: KAT
Etichetta: Pure Steel Records
Genere: Heavy 
Anno: 2020
Nazione:
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75

 

Compleanno in casa Kat!!! La storica band polacca compie quarant’anni, anzi, quarantuno, visto che i suoi primi vagiti d’acciaio risalgono al 1979, anno in cui il batterista Ireneusz Loth, i chitarristi Piotr Luczyk e Ryszard Pisarski ed il bassista Tomasz Jaguś si sono uniti per suonare musica strumentale.

Da allora la storia dei Kat è stata parecchio movimentata: molti musicisti sono entrati ed usciti dal gruppo, tanto che, ad oggi, l’unico rimasto della formazione originale è Piotr Luczyk e ci sono state due pause fondamentali, una tra il 1988 ed il 1990, l’altra, dopo la morte per incidente motociclistico del chitarrista Jacek Regulski, dal 1990 al 2002.

Ci sono anche state tante esibizioni a fianco di grossi nomi, come Hanoi Rocks, Metallica, Overkill, Helloween, Running Wild e partecipazioni a festival importanti come il Metalmania ed il Jarocin.

Soprattutto, ci sono stati dieci album, dei quali la maggior parte cantati in lingua madre, ed una costante evoluzione artistica.

Da un Hard Rock anni ’70 con influenze NWOBHM, dei primissimi esordi, sono passati prima ad un malvagio, primordiale e grezzo Thrash, genere con il quale hanno debuttato discograficamente nel 1985 con il cult–album ‘Metal and Hell’ (‘666’ nella versione cantata in polacco), per poi virare verso un Heavy Metal di stampo più classico.

Ed è un album di puro Heavy Metal questo ‘The Last Convoy’, torta di compleanno con sopra nove candelotti di dinamite pronti ad esplodere ed undicesimo lavoro, prodotto via Pure Steel Records e disponibile dal 25 settembre 2020.

Un album ricco, dinamico e carico di energia, dove ad inediti targati 2020 vengono affiancate delle cover di band storiche ed il rifacimento di un loro brano del 2019.

Partecipano alla festa anche diversi ospiti: i vocalist Tim ‘Ripper’ Owens, che non ha bisogno di presentazione ed Henry Beck, nei Kat dal 2005 al 2018 (lo troviamo su ‘Mind Cannibal’), nonché il poliedrico artista Maciej Lipina (cantante, cantautore, musicista, attore, chitarrista, insegnante e chissà cos’altro) ed il pianista Paweł Steczek, che hanno collaborato con i ‘carnefici’ in ‘Acoustic – 8 filmów’ del 2014.

Gli inediti sono tosti, granitici e coinvolgenti: l’adrenalina scorre durante la veloce ‘Satan’s Nights’, la potente ed anthemica ‘The Last Convoy’ e la massiccia ‘Mind Cannibals’, con le sue linee di chitarra taglienti come rasoi.

Particolare menzione per ‘Dark Hole-The Habitat of Gods’, una ballatona acustica, melodica quanto malinconica, con un duro interludio blues ed un finale jazz-fusion d’atmosfera che mostra un’altra faccia dei Kat, quella più matura, quella che vuole esplorare altri sentieri senza però rinnegare ciò che sono: una vera band Heavy Metal.

Il brano reinterpretato è ‘Flying Fire’, già nel lavoro precedente ‘Without Looking Back’ del 2019. La versione, che vede la partecipazione dell’ex Judas Priest Tim ‘Ripper’ Owens, fa piacevolmente sbattere la testa.

Infine le cover: qui i nostri si confrontano con tre vere icone, reinterpretando brani che fanno venire i brividi solo che a scriverne i titoli: ‘Highway Star’ dei Deep Purple (‘Machine Head’ – 1972), ‘Blackout’ degli Scorpions (‘Blackout’ – 1982) e ‘You Shook Me All Night Long’ degli AC/DC (‘Back in Black’ – 1980), con tanto di trascinante finale a sorpresa.

Qui c’è poco da dire, si va veramente sul personale. Ritenendogli degli omaggi e non un tentativo di emulazione, al sottoscritto la versione Kat di questi tre leggendari pezzi piace, comprese quelle piccole sbavature che si sentono e che li rendono genuini, non una cruda scopiazzatura degli spartiti.

I Kat, insieme ai colleghi Vader, Turbo, Acid Drinkers ed Alastor, per citarne solo alcuni, rappresentano la nascita del Metal Polacco, un movimento longevo che tra l’altro, nei suoi primi anni, ha dovuto lottare per non soccombere alla censura della legge marziale imposta dal governo comunista.

Oggi i tempi sono cambiati, ma la grinta dei Kat è rimasta quella. In un lampo sono passati i primi quarant’anni. Vediamo cosa succede nei prossimi.

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