Recensione: The Maldoror Chants: Hermaphrodite [EP]

Di Daniele Ruggiero - 27 Giugno 2017 - 7:00
The Maldoror Chants: Hermaphrodite [EP]
Band: Schammasch
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2017
Nazione:
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85

La nuova opera targata Schammasch è un sublime parallelismo tra delicata poesia ed oscure sonorità, un accostamento elegante tra il bianco ed il nero: contrapposizioni marcate che finiranno per amalgamarsi in un’unica emozione.

I Nostri attingono ispirazione dal poema epico I canti di Maldoror scritto dal Conte di Lautréamont nella seconda metà dell’Ottocento. Sei canti in prosa nei quali il protagonista Maldoror, avvolto dall’angoscia della vita, insorge contro Dio uccidendolo senza però ritrovare la desiderata pace interiore.

Il disco, come una coperta fradicia, si appiccica addosso all’anima: un abbraccio apatico e terribilmente gelido che semina un angosciante vuoto cosmico da paralizzare la certezza di esistere. “The Maldoror Chants: Hermaphrodite”, questo il titolo del nuovo album, colloca l’ascoltatore sull’orlo di un precipizio dinanzi al quale si estende un infinito di incertezze che vengono incalzate da atmosfere strumentali di natura black ambient. 

Fra le increspature del platter la luce viene soverchiata dal buio pesto delle paure che si materializzano in parti strumentali spinose di carattere nichilista. Nel limbo dei Schammasch non esistono porte ma buchi neri che ingurgitano lacrime: la chiave per entrare è la lama della malinconia, mentre l’amnesia rimane l’unico espediente per credere di esserne usciti.

I passi lenti e ciclici delle prime tracce sopprimono ogni forma di melodia attraversando un sentiero delirante che conduce, senza mezzi termini, all’annullamento del proprio io. Pesante e claustrofobico, il ritmo segue ombre dense e ruvide aggrovigliate alla cupa voce narrante che si limita ad alimentare l’assiduo orrore universale. 

Superando la metà dell’album, è il brano ’These Tresses are Sacred’ a tracciare una curvatura più dinamica del sound che esonda nella successiva ‘Chimerical Hope’: quattro minuti e mezzo di black bollente solcato da incessanti pulsazioni violente e disarmanti. La conclusione visionaria e corale si specchia sull’espiazione di un dannato che soccombe inspirando una quantità smisurata di dolore.

“The Maldoror Chants: Hermaphrodite”, primo capitolo di una serie, sembra voler seguire le orme del terzo disco dell’acclamato “Triangle”: evocativo, sognante, e molto intenso. Un disco nel quale il quartetto svizzero castiga la spontaneità promuovendo ad occhi chiusi il fervore che, come in una fotosintesi, traspira nella notte più nera.

Occorre perdersi, perdersi in questo angolo di arte contemporanea in cui i mostri interiori prendono vita, la tua vita.

 

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