Recensione: The Minstrel’s Curse

Di Riccardo Angelini - 3 Marzo 2008 - 0:00
The Minstrel’s Curse
Band: Noekk
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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78

Ci sono band che a ogni uscita cercano di ingentilire il proprio sound, per conquistare porzioni di pubblico ogni volta più ampie. Ci sono band che seguono semplicemente la propria strada, senza troppo curarsi d’altro che non sia il proprio credo musicale. E poi ci sono band – poche, pochissime – che sembrano ostinarsi a scavare sempre più a fondo nella propria nicchia, lontano dalle luci, dagli schiamazzi, dall’aria viziata che si respira presso le masse. Chi ancora ha nelle orecchie la bruma sottile degli Empyrium, sa già da che parte collocare due visionari come Markus Stock e Thomas Helm.

Hanno cambiato nome – ora si fanno chiamare F.F. Yugoth e Funghus Baldachin – hanno cambiato band – sepolti gli Empyrium, sono sorti i Noekk. Qualcosa è rimasto immutato: lo spirito d’elite, l’aria rarefatta che aleggia su questo ripido crinale a cavallo fra doom metal e progressive rock. Un valico impervio, lento e impegnativo da attraversare, di quelli che scoraggiano quanti vogliano tentare la scalata senza un’adeguata preparazione. In guardia dunque: chiunque si appresti a intraprendere il viaggio attraverso le nebbie di “The Minstrel Course” sappia che i suoi anfitrioni faranno di tutto per rendergli il passo quanto più pesante possibile.

Pesante. Il nuovo Noekk suona decisamente più pesante del suo predecessore, sotto molteplici punti di vista. Si alza un poco il numero di brani – quattro contro tre – ma si abbassa il minutaggio: bastano meno di trentacinque minuti per completare il percorso designato dai due menestrelli teutonici. E forse sarebbe stato difficile ammetterne anche solo dieci in più.
Rispetto al passato, le chitarre si fanno ancora più cupe, opprimenti. Le ritmiche fangose rieccheggiano il solenne marciare di un doom dalle forti tinte epiche, che intralcia il cammino del viandante impreparato fin dalle prime note della title track. La voce piena, sobria e potente di Helm guida la caliginosa processione, interrompendosi con crescente frequenza di fronte ai rallentamenti più atmosferici, dominati dalla sinfonia oscura delle tastiere e dall’inquietudine degli arpeggi. Talvolta improvvise accelerazioni spezzano del tutto il ritmo della marcia, peraltro già compromesso dagli insistenti cambi di tempo imposti dal solito Stock alle pelli: è il caso del finale di “Song Of Durin”, che negli ultimi minuti si rovescia in tutto il proprio furore epico con l’impeto di un torrente in piena. Intanto, poco alla volta, gli strumenti prendono il sopravvento sulle melodie vocali. “How Long Is Ever” si permette addirittura di estrometterle completamente, accentuando i propri eccessi progressive e proponendosi – di contro alla propria durata relativamente ridotta – come uno dei passaggi più impegnativi dell’album. Si tratta del resto di una preparazione necessaria, un viatico obbligato prima di intraprendere l’assalto alla conclusiva “The Rumour And The Giantess”. Più che della vetta della montagna, si dovrebbe parlare del cratere del vulcano: simili a ciottoli di pietra disciolti nella lava i suoi quattordici minuti si fondono in un incessante mutar di forma, si adagiano per qualche minuto nella desolante culla del silenzio per poi tracimare a valle con dolorosa, inesorabile lentezza.

Lentezza. Contro un quotidiano che impone di procedere col piede pigiato sull’acceleratore, c’è ancora qualcuno che esige lentezza. La chiede, la reclama, la pretende. Probabilmente, i soliti frettolosi potranno continuare a sorridere con indulgenza – “questi ragazzi sono un po’ pesantucci, ma se non altro sono originali, bisogna ammetterlo” – e a liquidare il disco entro la prima decina di ascolti. “The Minstrel Curse” non è per loro. “The Minstrel Curse” vuole essere ascoltato dieci, venti, trenta volte, e ancora di nuovo da capo. Vuole un ascolto attento, uno distratto, uno entusiasta e uno distaccato. Vuole essere conosciuto e dimenticato, e poi scoperto di nuovo, a distanza di molto tempo. Qui sta la sua forza, qui il suo valore.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. The Minstrel’s Curse
2. Song of Durin
3. How Long is Ever
4. The Rumour and the Giantess

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