Recensione: The New Kingdom

Di Riccardo Angelini - 11 Luglio 2006 - 0:00
The New Kingdom
Band: Venturia
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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67

Promossi un po’ ovunque come la nuova sensazione del prog moderno, i transalpini Venturia si affacciano per la prima volta sul mercato dopo sei anni di gavetta. Tradizionalmente un passaporto francese non è mai stato tra i più diffusi sinonimi di qualità in campo metal – almeno per quanto riguarda il settore progressive – ma alcune felici eccezioni da un po’ di anni a questa parte sembrano muoversi in controtendenza. E’ il caso degli Adagio, che si sono guadagnati il rispetto dell’ambiente anche grazie al superbo Underworld, o dei promettenti Lord of Mushrooms. E, per certi versi, anche dei Venturia stessi.

Quel che è sicuro è che questi ragazzi sanno fare il loro mestiere. A livello tecnico il loro repertorio è ampio e solido, l’elaboratezza di strutture e arrangiamenti denota una notevole sicurezza nei propri mezzi. Punto di riferimento dal punto di vista compositivo paiono, manco a dirlo, i soliti Dream Theater, almeno per quanto riguarda le linee strumentali. Questo, da un lato, lascia intravedere il potenziale e le ambizioni della band – la strumentale Candle Of Hope Through A Night Of Fears, per quanto inficiata da qualche velleità autocelebrativa, è davvero da leccarsi i baffi – dall’altro deprime un po’, per il contraddittorio trend imitativo che da troppi anni a questa parte ha preso piede in campo progressive. La sperimentazione resta infatti qui sullo sfondo, a meno che per nella categoria “sperimentazione” non si voglia far rientrare l’ampio utilizzo di linee vocali dal piglio prettamente pop.

La soluzione della band francese può infatti dirsi soddisfacente, ma non entusiasmante. La responsabilità è da spartirsi soprattutto tra le due voci, anche se in modo diverso. Il newyorkese Mark Ferreira tenta di far fronte a un radicale difetto di carisma con una prova abbastanza intraprendente, e da questo punto di vista ottiene risultati migliori della collega Lydie Robin, mai adeguatamente espressiva nelle sue linee vocali goticheggianti e un po’ banalotte. Complessivamente la formula della doppia voce svolge dignitosamente e senza sbavature il proprio compito, e con ogni probabilità si ingrazierà le simpatie di una buona fetta di pubblico, ma non dà prova di quelle capacità interpretative che sarebbe lecito aspttarsi in questo settore.
D’altra parte i brani, a fronte di un contributo tecnico di grande spessore, si rifugiano un po’ troppo spesso in soluzioni melodiche fin troppo accondiscendenti. E se la title track, già indicativa di tale tendenza, riesce a mettere d’accordo un po’ tutti grazie a diversi spunti strumentali vincenti, ruffianate come Walk On To The Daylight, ballad d’intenzione spudoratamente commerciale, sarebbero davvero da evitare. Già meglio l’AOR elettrizzante della passionale Take Me Down (ma i Royal Hunt di un tempo erano su altri livelli) e la coinvolgente The Unholy One, condotta al microfono dal solo Ferreira. In crescendo il finale, che tocca l’apice nella la conclusiva Dear Dead Bride, capace finalmente di rinunciare alle smancerie più spudorate per compattarsi su un progressive maturo e ben strutturato.
A livello di individualità, la band non ha di che lamentarsi. Sugli scudi lo svizzero Diego Rapacchetti, autore di una prova autorevole dietro le pelli, mentre andrebbero riviste le pur precise chitarre, penalizzate da una qualità sonora non del tutto convincente – e in effetti la produzione è da ascriversi tra i difetti primari dell’album. Peccato, perché al di là di ogni critica il prodotto avrebbe meritato di più.

Un’esordio dunque degno di nota, più che consigliato agli amanti della melodia; ma attenzione ai facili entusiasmi. Superata l’esaltazione dei primi ascolti il rischio è di ritrovarsi tra le mani meno sostanza di quel che era parso in un primo momento.
Quel che è certo è che questa formazione ha tutti i mezzi per fare grandi cose. Ci vuole però un po’ più di malizia e soprattutto poche pressioni: l’esperienza insegna che la fretta eccessiva nell’incoronare la nuova sensazione del momento tra le giovani promesse ha mietuto più vittime di quante ne abbia consegnate al successo.

Tracklist:
1) New Kingdom
2) The Unholy One
3) Words of Silence
4) Take Me Down
5) Fallen World (Is There A Reason?)
6) Walk on To the Daylight
7) Candle of Hope Through A Night of Fears
8) Dear Dead Bride

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