Recensione: The Sin And The Sentence

Di Luke Bosio - 20 Ottobre 2017 - 21:35
The Sin And The Sentence
Band: Trivium
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2017
Nazione:
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85

Trivium rappresentano la classica band colpita dalla maledizione di dovere dimostrare il proprio reale valore ad ogni nuova uscita. Partiti con il favore del pronostico grazie al grande clamore suscitato da “Ascendancy” (2005), si ponevano grandi speranze su questa band, accreditata da molti come i degni eredi al trono del metal pop(olare). Seguirono intensi tour a supporto di Iron Maiden e Metallica e un’esposizione mediatica pazzesca non bastarono a far decollare la carriera della band, sempre intrappolata tra un immagine ai confini del metalcore/emo/wimps per essere credibile, alcune recenti releases decisamente sotto tono e un’antipatia di fondo hanno fatto il resto. Ora, dopo 18 anni di altalenante carriera, gli ex-ragazzini prodigio di Orlando centrano il bersaglio polverizzando con un colpo solo tutta la concorrenza! “The Sin And The Sentence” è un disco superbo, composto da quattro musicisti con le idee chiare, molto preparati e pronti a rifilarci una sequenza micidiale di brani decisamente ispirati.

“The Sin And The Sentence” racchiude ‘a mo’ di greatest hits (di inediti) il meglio sin qui prodotto dalla band, allontanando le leccate’ da circo pop presenti su “Vengeance Falls” e strappando il velo di mediocrità insito nel precedente “Silence In The Snow”. Un’ora di metal incendiario che mette in mostra una buona prova vocale di Matt Heafy, pronto a sputarvi in faccia tutto il suo odio grazie al ritrovato – e sempre ben dosato – growling mannaro. Complessivamente tutta la band ritorna ad esprimersi su livelli ottimali, trainata con forza e impeto dal tellurico e tecnicissimo drumming del nuovo entrato Alex Bent prelevato dai Battlecross. Prodotto in maniera ottimale da Josh Wilbur (Lamb of God, Gojira) la formula rimane invariata, difatti i Trivium uniscono le ovvie influenze Thrash Metal anni ’80 (certe parti di chitarra parlano il verbo dei Metallica e dei Megadeth) con un suono più moderno. “Luke, ma sono cose che avevamo già ampiamente ascoltato su Ascendancy e Shotgun!”, direte giustamente voi… Si, solo che questa volta il Trivium‘s sound viene elevato all’ennesima potenza e rivisto in chiave ancora più attuale. Quello che maggiormente conta è la ritrovata qualità del song-writing (sentitevi il lavoro incessante di questi due favolosi chitarristi) e la capacità che hanno queste canzoni di scuotervi a dovere i sensi! E allora non indugiate oltre e sparatevi senza pietà le deflagrazioni dell’iniziale title-track con tutti il suo armamentario fatto di micidiali stop and go, velocissimi blast-beat e alternanze rabbioso/melodico con un chorus indimenticabile. Se avete superato questo scoglio iniziale, allora non avete scampo, e per forza di cose dovete perdervi in questo dolce macinare e triturare, dovete avere il coraggio di ascoltare l’album sino in fondo, poiché man mano che si va avanti ci si entusiasma sempre di più. “Beyond The Oblivion” è una frustata thrash metal sulle orecchie, la cui alta velocità è intervallata da intersezioni di grandi cori e una linea vocale melodica da applausi (i rimandi ad “Ascendancy” sono più che evidenti) che vi rimarrà conficcata in testa a lungo! Il gioco sui piatti di Mr Bent è davvero di alta scuola. “Other Words” è un capitolo epico, cantato in maniera stupenda da Heafy che si destreggia tra riff taglienti come la lama di una mannaia alternati a passaggi più oscuri e rallentati ma sempre dannatamente efficaci: semplicità e complessità allo stesso tempo. L’ipnotica ed evocativa “The Heart From Your Hate” – primo singolo estratto dall’album – con una partenza con inquietante riff che dà subito sfogo ad un deciso martellamento thrash, anche se questo brano potrebbe essere considerato nelle intenzioni della band alla stregua di una semi-ballad, data la semplicità delle linee vocali e il suo ritornello a presa rapida. La velocità sale vertiginosamente con “Betrayer”, urlata a pieni polmoni, forte di un break centrale non lontano da certe recenti voglie progressive dei Maiden.

Ma è solo il sentore di pochi frangenti perchè i Trivium ricominciano a picchiare come fabbri! “The Wretchedness Inside” è un episodio tipicamente alla Machine Head e forma un wall of sound difficilmente penetrabile! Pur non essendo una brutta canzone, “Endless Night”, è l’unico scivolone rilevante e, anche se infarcita da cambi di tempo puntuali e repentini, finirà per essere la colonna sonora di qualche film o peggio pubblicità televisiva. Questo brano si discosta dallo scheletro dell’album e risulta alquanto manieristico nel suo voler piacere a tutti i costi. Sorvoliamo. “Sever The Hand” è l’apice di tutto il disco: il TOP! Puro Trivium‘s sound con uno stacco thrash metal brutale che richiama ‘la guerra santa’ dei Megadeth; anno di grazia 1990! Sentite cosa combina Alex Bent su tom e piatti riuscendo a creare un nuovo ritmo per il thrash. Qui sia il miglior Lars dei bei tempi che furono sia il compianto Nick Menza avrebbero gestito questa partitura con un semplice 4/4 molto spedito, ma nulla più! “Beauty in the Sorrow” alterna parti incazzatissime ad altre più ragionate mentre “The Revanchist” si candida come l’episodio più lungo del platter, sfiorando 8 minuti di durata sostenuti da un riff cingolante, nonché da un incedere senza freni che si sviluppa progressivamente (si questo è PROG METAL!) fino ad una lunga parte strumentale atta a dar libero sfogo al miglior assolo di Corey Beaulieu, lui è una dannata minaccia con la sua chitarra. A chiudere degnamente il lavoro troviamo “Thrown Into The Fire” altro grande episodio di incontenibile potenza, di rabbiosa violenza gratuita al massimo grado.

Il tessuto sonoro di questo disco assume le forme di un muro di granito, un’impressione di indiscussa potenza, deriva proprio dall’aver costruito i brani fondamentalmente sulla base chitarristica sia ritmica che solista: è il riff, inebriante, arrembante, che domina lungo l’intero lavoro e ad avvantaggiarsene sono senza dubbio basso e batteria, che legano il suono come un collante perfetto, e scalpitano alla grande per conquistarsi, riuscendoci, il loro meritato spazio nello spettro sonoro. Un disco nervoso e impetuoso con tanti dardi infuocati al suo arco pronti per essere scoccati e condito da svariati ‘FUCK’ da parte di un incazzatissimo Matt Heafy rivolti a tutti i detrattori della band. In un genere che vede le storiche “bandiere” parzialmente appannate o stropicciate dal tempo, i Trivium del 2017 rappresentano ancora un’ancora di salvezza: una band semplicemente energica e grintosa. “The Sin And The Sentence” si candida senza remore tra i migliori lavori usciti in questo 2017. Finalmente i Trivium risultano determinati al massimo… Bentornati a casa!

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