Recensione: The Sorrow And The Sound

Di Stefano Burini - 4 Ottobre 2014 - 0:01
The Sorrow And The Sound
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2014
Nazione:
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70

Nome non certo tra i più noti della scena hardcore/metalcore, i britannici Feed The Rhino sono ad ogni modo una realtà piuttosto consolidata, come dimostrano i tre album finora  all’attivo.

La band ruota attorno alla figura  e alla voce di Lee Tobin – carismatico screamer  delle cui veementi performance potete trovare più di una traccia in rete – e, data la particolarità del timbro e dello stile vocale, non stupisce che la proposta dei Rinoceronti  si articoli più sulle coordinate dissonanti e disturbanti tipiche dell’hardcore che non sulle tonalità più addomesticate del moderno emo/metalcore. 

Pochissime, dunque, le pur interessanti concessioni alla melodia (quasi sempre atmosferica ed introspettiva, come in “Black Horse”, più che orecchiabile e catchy) mentre risultano decisamente più frequenti gli assalti vocali all’arma bianca su cui Tobin profonde una quantità di energia davvero ragguardevole. Giusto menzionare anche l’apporto delle chitarre, con i fratelli Sam e James Colley del tutto a proprio agio nelle vesti di riff maker dal taglio violento e concitato, il cui operato trova i migliori esempi nell’opener “New Wave” e nella brevissima ed incisiva “Give Up”, praticamente due proiettili di hardcore post-thrasheggiante di grande impatto.

I picchi qualitativi si ravvisano in corrispondenza delle ottime “Revelation Not Revolution”, suggellata da un efficacissimo refrain corale, e “Deny And Offend”, illuminata da linea vocale sorprendentemente aggraziata in contrapposizione ad un guitar work nervoso e spezzettato. Si difendono, ad ogni modo, bene anche la title track, con i suoi chiaroscuri emotivi e il sofferto refrain, e le successive “Bright Side Of A Dark Ride” e “Another Requiem”.  Veri e propri cali non sono viceversa presenti, nonostante pezzi come “Finish The Game”, “Set Sail For Treason”  e “Keep Your Purpose Hitman” appaiano leggermente più in ombra rispetto agli episodi migliori di “The Sorrow And The Sound”.

Se cercate melodia e soluzioni maggiormente orientate alla fruibilità, il consiglio è di rivolgere la vostra attenzione altrove (per esempio sul debut album dei Wovenwar); se, al contrario, l’hardcore fa da sempre parte dei vostri ascolti abituali, date pure una chance a “The Sorrow And The Sound”, un lavoro spigoloso – e forse ancora un po’ acerbo – ma non privo di motivi di interesse.

Stefano Burini

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