Recensione: The Wait of Glory

Di Riccardo Angelini - 15 Giugno 2006 - 0:00
The Wait of Glory
Band: Proto-Kaw
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2006
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
85

Proto-kaw: ovvero i Kansas prima dei Kansas. Recuperando un paio di lemmi, presi a prestito rispettivamente dal greco antico e dalla lingua indiana, e riesumando un’idea nata e morta nel profondo dei seventies, l’immortale Kerry Livgren rimetteva mano alla seconda incarnazione della storica band statuintense per tentare oggi quella fortuna che non le arrise in passato. Raccolte le vecchie produzioni, le ripuliva dalla muffa e dalle ragnatele, e le restituiva al pubblico in una sorta di compilation postuma intitolata Early Recording from Kansas 1971-1973. Questo accadeva quattro anni fa. Due anni più tardi era stata la volta del debutto vero e proprio, eloquentemente intitolato Before Became After: un’ora e più di progressive rock d’alta scuola, capace di fugare ogni dubbio sulla sincerità di Livgren.

Oggi, infine, tocca a The Wait of Glory il compito forse più arduo: dimostrare quella costanza senza la quale anche il progetto più brillante è destinato a finire presto nello sgabuzzino dell’oblio. Ed è già la sobria eloquenza di una fiammeggiante pittura rupestre, che si staglia in copertina tra i fossili di un sassofono e di un trilobite, a preannunciare il felice esito della pur ardua missione.
Dieci canzoni – una in meno (anzi due, considerando la bonus track) rispetto alla versione dei più fortunati americani – rivelano il bruciante vigore di una band capace di recuperare la genuina tradizione dei seventies, come poche sanno fare, senza cadere nel riciclo. Non aspettatevi di trovarvi in fronte ai Kansas II: i Proto Kaw percorrono oggi la loro strada in completa e fondatamente fiduciosa autonomia. Certo, l’orecchio esperto riconoscere dietro gli arrangiamenti raffinati la stessa mano che ha scritto classici come Point of Know Return e Dust in the Wind, ma il padrone di quella mano non ha nessuna intenzione di tornare su sentieri già percorsi.

Non solo Kansas dunque, ma anche Genesis, Yes, Jethro Tull. O forse nessuno di questi, sia per via del sound generale, più americano che inglese, sia per via dei contenuti, espressione di un ripensamento intelligente, raffinato, inebriante degli schemi compositivi della tradizione. Difficile in tale contesto selezionare gli episodi più riusciti, non solo per la straordinaria continuità qualitativa, ma anche perché, come ormai di rado accade, ogni brano ha una sua storia da raccontare. Nulla è di troppo, dalla primaverile delicatezza della soave The Vigil, alle goccie di rugiada stillate nella nebulosa When the Rains Come, passando per la gentile brezza sinfonico-acustica che spazza le prateria di The Eve of Great Decline; e ancora, da Osvaldo’s Groceries, il cui nucleo di strabiliante eclettismo si cela infagottato in una scorza burlesca e irriverente, a Physic, composta esplosione di vitalità che tiene la parola “rock” cucita sul cuore. Ma in fin dei conti tutto era già chiaro fin dall’opener Nevermore, che senza alzare troppo la voce aveva regalato quasi dieci primi di autentico prog rock d’autore, tra sognanti sussurri d’altri tempi e sbarazzine scorribante di strumenti in tripudio.

C’è poco da aggiungere, chi ama questa musica – oserei dire: chi ama la musica, senza confini o barriere – ha già inteso: ci troviamo semplicemente di fronte a uno dei migliori dischi dell’anno, uno di quelli capaci di ammaliare fin dal primo ascolto e di crescere ancora e ancora col passare del tempo. Lasciatevelo sfuggire, e avrete qualcosa di cui pentirvi.

Tracklist:
1. Nevermore (9:17)
2. Relics of the Tempest (5:07)
3. When the Rains Come (8:56)
4. On the Eve of the Great Decline (4:51)
5. Physic (5:45)
6. Osvaldo’s Groceries (3:17)
7. The Vigil (7:20)
8. Old Number 63 (6:51)
9. Melicus Gladiator (4:52)
10. Picture This (6:42)

Ultimi album di Proto-Kaw