Recensione: The World We Left Behind
Prima di precipitare in questo The World we left Behind, ultima fatica dei Nachtmystium, sarà bene sprofondare nel recente passato del mastermind Blake Judd. Un uomo che nel 2012 è stato incarcerato per ladrocinio a causa della mancata spedizione delle copie di Silencing Machine. Multato ed incarcerato per un mese, il nostro ha dato tutto fuorché l’idea di aver messo la testa apposto. Sicché il nostro aveva dichiarato che The World we Left Behind sarebbe stato l’ultimo album del suo gruppo, causa scioglimento, salvo poi negare il tutto scaricando la colpa sulla stampa malfida, quando l’annuncio era stato pubblicato proprio dalla Century Media.
Non male il personaggio. Sarà bene pertanto passare ad altro.
E che cos’ha in serbo per noi questo The World we left Behind? Si tratta di un disco decisamente debitore di quell doppio capolavoro che era stato The Black Meddle. Un disco di black oscuro, trucido nei toni ma molto pulito per ciò che concerne produzione e qualità sonora. Parimenti un disco solidamente ancorato alla tradizione del black, fatto di riff semplici, talora incalzanti e talora epicamente desolati come le plaghe della Finlandia, eppure un disco che si concede soventi svarioni ed innesti mutuati da certo progressive rock, quello dei Pink Floyd su tutti.
Ne viene fuori un sound invero compatto ed unitario, sicché le chitarre taglienti fanno da filo conduttore e collante tra composizioni che in linea di principio sarebbero ben diverse l’una dall’altra. Ne è un esempio Fireheart e On the other side, un brano di fottuto black’n’roll d’alto peso specifico, che pure ben si inseriscono in un contesto un po’ più lento. Parimenti anche la furiosa The endless abyss è un ottimo pezzo, prossimo a dei Borknagar ingrezziti, mentre In the Absence of Existence fa proprie certe chitarre caratteristiche della tradizione finnica, ad esempio quella degli Amorphis.
Tracce come Voyager e la title track invece sono magnifici esempi di black desolato e decadente, lunghe cavalcate attraverso Jotunheim in una notte senza stelle. Ma il vero capolavoro è fuor d’ogni dubbio la conclusiva Epitaph for a dying Star, un pezzo magnificente di black metal psichedelico, con cori ed atmosfere oscuramente acide in cui brilla vivido il ricordo di Seasick. Proprio quest’ultimo pezzo però, ponendosi di molto al di sopra del resto, lascia intuire come il resto, sebbene fantasticamente progettato, ispirato, interpretato con passione, manchi di quella scintilla di genio che hanno i grandissimi album, quelli che fan la storia. Non vi è amarezza però, dacché quanto sentito in questi cinquantaquattro minuti è bastevole a classificare The World we left Behind come un grande album, tra i migliori di un 2014 che sin qui ha riservato piacevoli conferme, ma nessuna vera e propria sorpresa.
Ogni volta che i Nachtmystium incidono un nuovo album, lassù nel Walhalla gli dei gettano una monetina. Verrà fuori un capolavoro o un’ignava ciofeca? In virtù di questa semplice domanda un nuovo disco del gruppo viene atteso con trepidazione ed inquietudine. Nel caso di The World we left Behind possiamo tirare un sospiro di sollievo. Si tratta infatti di un disco di black metal raffinato e con qualche barbaglio di sperimentazione, pure deciso, immediato e senza inutili fronzoli. Un disco che non si discosta molto dal Black Meddle ma comunque ispirato ed incalzante. Un ottimo disco che può durare nel tempo.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco
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