Recensione: The Wretched Sermon

Di Daniele D'Adamo - 14 Ottobre 2022 - 0:00

Strano grindcore, quello degli Abaddon Incarnate. Molto vicino al death metal ma non abbastanza da rientrarne nei ranghi. Un grindcore evoluto, si potrebbe affermare. Cioè, i cui obiettivi non siano solo individuabili in un proposta musicale più estrema possibile.

“The Wretched Sermon” è il sesto full-length della formazione irlandese, nata nel 1994, dotata per ciò di un retroterra culturale e di un’esperienza che non temono confronti. Il che si materializza in un sound estremamente maturo, i cui dettami sono ben saldi all’idea musicale che muove i passi del quartetto di Dublino. Non solo, il disco rivela una padronanza esecutiva di tutto rispetto che si riverbera in una produzione professionale, esente da pecche, perfetta per far sì che sia erogata la massima potenza sonora con un’altrettanta elevata intelligibilità.

Potenza sonora semplicemente mostruosa, terrificante, tale da spaventare sino a far rizzare i peli sulla pelle. Si può tentare un parallelismo con gli Anaal Nathrakh giusto per far capire con chi si abbia a che fare, ma occorre dare merito alla singolarità di una band in grado di essersi ritagliata una fetta in prima fila nel campo del metallo oltranzista. Peraltro, circostanza piuttosto originale nel campo di azione del platter, sono presenti degli inserti campionati che approfondiscono l’atmosfera di un mood gelido, ritagliato nel campo delle emozioni da bisturi estremamente affilati. Cui si può percepire il sapore del sangue delle vittime di un’aggressione sonora terremotante.

E precisa. Si ripete poiché è importante: Steve Maher e i suoi compagni di battaglia sono dei signori musicisti, capaci di mantenere compatto il sound anche quando il devastante drumming di Olan Parkinson diverge oltre la barriera dei blast-beats. Anzi, in tali frangenti, in cui i meno esperti scivolano nel caos, l’alta qualità della tecnica posseduta dai Nostri emerge con forza, regalando micidiali mazzate sui denti del coraggioso ascoltatore. Oppure, che è lo stesso, tremende bastonate sulla schiena. Metafore per spiegare la coesione fra i vari strumenti, voce allucinata compresa, che, davvero, si può equiparare, con un’ulteriore metafora, a un treno in piena corsa senza ormai più freni.

Brani come ‘Into the Maelstrom’ sfasciano completamente tutto ciò che incontrano sul proprio cammino. Esagerazione totale. Precisione maniacale. Abbrivio inarrestabile. L’acme dell’allucinazione, dello stordimento da hyper-speed. Lo stesso Maher e Bill Whelan tessono, difatti, una rete pazzesca di riff. Complicati, complessi, incastrati l’uno agli altri ma, quasi incredibilmente, dotati di una progressione tanto titanica quanto sciolta, dinamica, trascinante verso gli universi della follia.

E, tanto per mostrare che tutto si può fare, quando mente e mani si presentano come una coppia dotata di talento in modo da variare l’approccio del songwriting, emerge dal massacro la suite ‘Isolation and Decay’, inaspettata isola melodica e arcana in mezzo all’oceano della furia scardinatrice. Un brano articolato, ricco di cambi di tempo, veemente, con un break centrale rallentato per entrare sino in fondo all’anima, possederla e quindi intrappolarla oppure distruggerla similmente a quanto facevano le sirene con i marinai.

Concludendo, “The Wretched Sermon” è un LP che non può e non deve mancare nella faretra di caccia dei fan dell’estremo più estremo. Davvero bravi, infatti, gli Abaddon Incarnate, nell’avere creato qualcosa di vivo, che pulsi rapidamente di vita prova, che annienti ogni forma di vita.

Daniele “dani66” D’Adamo

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