Recensione: There’s A Tear In My Beer

Di Fabio Vellata - 8 Giugno 2007 - 0:00
There’s A Tear In My Beer
Band: Casino Steel
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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73

Incantevoli orizzonti rurali ed atmosfere rilassatamente sudiste, sono i cardini portanti della nuova proposta di Mr. Casino Steel, (sì, proprio così, “Casino” di nome e “Steel” di cognome: appellativo ad “effetto”, nulla da dire), artista norvegese non troppo noto al pubblico di casa nostra, ma in grado di vantare un solido passato da rocker, grazie alla militanza in alcune seminali bands albioniche quali The Boys ed Hollywood Brats, da molti considerati tra le maggiori ed autorevoli realtà rock “underground” degli anni settanta.

Muovendosi a cavallo di influenze più tipicamente a stelle e strisce, ‘There’s a Tear In My Beer’ si rivela essere una piacevole raccolta di brani ispirati ad ambientazioni cantautoriali, perennemente in bilico tra accenni westcoast, richiami blueseggianti, country puro ed un feeling di fondo smaccatamente southern, in grado talvolta di disegnare grandi scenari da vecchio film western, costellato da tramonti infuocati e rude romanticismo consono a vecchi e sgualciti cowboys.

Sin dal primo secondo della title track (un classico di Hank Williams, grande del country “d’antan”) posta in apertura del platter infatti, è impossibile non sentirsi risucchiati in un caratteristico e, personalmente molto gradito, clima “vintage” caro ai grandi Lynyrd Skynyrd, senza tralasciare palesi riferimenti alla produzione di Alan Jackson, Billy Ray Cyrus e del solito Tom Petty, epigoni di un genere musicale da sempre ancorato a sentimenti passionali ed estremamente veraci, “true” nel senso più diretto e sincero del termine.

Alquanto riuscite e foriere di sensazioni piacevolissime tracce come la blueseggiante ‘I Was Barely Getting By’, la soffusa ‘That’s All I Need To Hear’ e le sofferte ‘She Thinks I Still Care’ ed ‘Heroine’, semplici esempi di ottima musica, dai risvolti talora intimisti e profondamente radicati in uno stile antico, assolutamente fascinoso e ricco di grande capacità evocativa.
Non mancano poi le parti maggiormente ritmate: le interessanti southern ballads intitolate ‘I’m Unable To Toe The Line’ e ‘I Wish I Could Home’ conferiscono ulteriore caratura ad un disco sinceramente gradevole.
Molto significativa infine la cover del classico d’altri tempi ‘What A Wonderful World’, proposta in chiave country ed arricchita da un retrogusto crepuscolare dai toni oniricamente rilassati.
Su tutto, la voce, alcolica e polverosa di Mr. Steel, cantastorie figlio di un epoca perduta perfettamente inserito nella parte del vecchio cowboy che, imbracciata la propria vetusta chitarra, si diletta nel proporre storie di strada, afferrate tra un Jack Daniels ed un pacchetto di Marlboro in un fumoso locale dei bassifondi.

Scorrevole ed alquanto ben realizzato, ‘There’s A Tear In My Beer’ sembrerebbe essere un prodotto destinato ad un pubblico limitato di amatori ed appassionati, che potrebbe comunque fare al caso vostro qualora foste alla ricerca di qualcosa di diverso ma sempre dotato di cuore e personalità.
Il sogno della frontiera americana pare riaffiorare da queste note in modo genuino e naturale, portandoci in un ideale viaggio sonoro di grande charme e poesia.
In una sola parola: affascinante.

Tracklist:

01. There’s A Tear In My Beer
02. I Was Barely Getting By
03. I’m So Lonesome I Could Cry
04. That’s All I Need To Hear
05. She Thinks I Still Care
06. Real Rain
07. Cold, Cold Heart
08. Oh Ramona
09. What A Wonderful World
10. I’m Unable To Toe The Line
11. Ballad Of The Sad Café
12. Baby That’s Cold
13. I Wish I Could Home
14. Heroine

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