Recensione: This Violent Decline

Di Gaetano Loffredo - 3 Agosto 2006 - 0:00
This Violent Decline
Band: After All
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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50

Non hanno perso tempo gli After All: ad un solo anno di distanza dall’ultimo The Vermin Breed, tornano sul mercato col novello This Violent Decline, sesto disco della voluminosa carriera intrapresa nel lontano 1992 (14 anni!) col rilascio dell’ep in vinile a titolo Dusk.

Va subito riferito che il thrash metal del quintetto belga è sin troppo prevedibile, offre passaggi costruiti a norma ma sempre scontati e alla lunga monotoni. Fortunatamente, gli undici capitoli che delimitano il percorso di This Violent Decline, hanno una durata media di tre minuti e mezzo e la scelta, riscontrato il regresso compositivo, pare indovinata.
La produzione accademica è delineata da elementi di prim’ordine e le registrazioni di Dee J. accompagnate dal missaggio ai Fredrik Nordström Studios garantiscono un suono tagliente, curato nei dettagli e tendenzialmente omogeneo, con gli strumenti appoggiati su una linea fittizia che non consente nessun tipo di prevaricazione. Questo, tirate le somme, è l’unico vero pregio dell’album.

Lavori simili, che definisco (in modo spartano ma efficace) “usa e getta”, hanno una caratteristica predefinita: risultano piacevoli nel primissimo ascolto e poi vanno riconsegnati automaticamente agli scaffali. Mi chiedo come possa, un prodotto del genere, giustificare una spesa che si aggira attorno ai quindici/venti euro.

E infatti, gratificato dopo “la prima” di Frozen Skin e Monolith #11 già pregustavo un succulento ritorno di un certo tipo di thrash metal: idea abbandonata poco dopo.
Il genere proposto dagli After All si inserisce a metà tra la scuola americana e quella teutonica; brani come Blind Euphoria 2006 sono un esempio lampante di come la mancanza di personalità nella “terra di mezzo” rilasci un retrogusto pressoché amarognolo.
Non bastano le scalate soliste delle chitarre di Violent Decline e di Without Reason  e non basta una disperata sferzata con l’imprevista e conclusiva ballata Second Time Around.

La concorrenza, e non lo scopre il sottoscritto, è spietata e gli After All, purtroppo, non sono minimamente competitivi.
Piet Sielk con la sua Dockyard 1 si è dato alla pazza gioia mettendo sotto contratto tutto ciò che gli capita e che gli è capitato sotto mano, dal Punk al Thrash, dal Power al Death, dal Black al PopCore dimenticandosi (e non è la prima volta che esprimo questo concetto) che la competizione su troppi fronti determina uno scadimento vistoso in termini qualitativi; soprattutto per le etichette che non possono investire, come in questo caso, più di tanto.
Non impegnate qui il vostro denaro. Avvisati.

Gaetano “Knightrider” Loffredo

Tracklist:
1.Frozen Skin
2.Violent Declin
3.Blackest Moon
4.Scacraments for the Damned
5.Without Reason
6.Monolith #11
7.Ruins of Bones
8.To Haunt You
9.The Harlot
10.Blind Euphoria 2006
11.Second Time Around

Bonus:
12.Frozen Skin (Video)

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