Recensione: Thousand Men Strong

Di Damiano Fiamin - 6 Luglio 2011 - 0:00
Thousand Men Strong
Band: Tokyo Blade
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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69

Ne è passato di tempo da quando i Tokyo Blade hanno pubblicato il loro ultimo album; tredici lunghi anni di gestazione e travagli per la realizzazione di quello che è stato definito, con una certa pretenziosità, come il seguito di Night of the Blade, uno dei pezzi da novanta nella discografia della band britannica.

Questo lungo periodo di incubazione non stupisce più di tanto se pensiamo che i Tokyo Blade sono un gruppo che ha alle spalle tanti di quegli scioglimenti, riunioni e cambi di formazione da poter riempire senza problemi i copioni di una soap-opera.

Formatisi all’inizio degli anni ’80 a Salisbury, ottengono un crescente riconoscimento per le loro doti musicali che, come spesso accade, non porta ad un parallelo aumento del volume di vendita. A causa di divergenze interne e diverse aspirazioni per il futuro, i membri del gruppo si separano una prima volta dopo la pubblicazione del quarto album; da quel momento, inizia un balletto di allontanamenti e riavvicinamenti, con i vari musicisti che finiscono, con fortune alterne, nell’orbita di altri progetti musicali per poi tornare all’ovile nel tentativo, probabilmente sincero, di salvare il salvabile senza sprofondare nella bieca operazione commerciale. Costanti, bisogna ammetterlo, nella fiducia al progetto e nella fede verso sonorità di tre decenni fa, i Tokyo Blade hanno pubblicato il loro ultimo CD: Thousand Men Strong non si discosta in maniera rilevante dai precedenti nove album della band, abbiamo tra le mani un classico disco NWOBHM, due chitarre, un basso, una batteria e tanta voglia di caricare l’ascoltatore con ritmi immediati ed assoli coinvolgenti.

Superato il trauma ottico causato della copertina, realizzata in maniera veramente discutibile, possiamo procedere con l’ascolto dei brani. L’introduzione lascia un po’ perplessi, effetti sonori che vorrebbero ricreare i suoni di una battaglia futuristica portano piuttosto alla mente una schermaglia tra teiere arrabbiate; fortunatamente, è sufficiente che i musicisti comincino a suonare per tranquillizzarsi: Black Abyss è una pompante cavalcata che pone subito l’ascoltatore davanti ad una muraglia di compatto godimento sonoro. La title-track è leggermente sotto tono rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare, viene dedicato maggior tempo ai vocalizzi di Ruhnow che può, pertanto, dimostrarci di saper fare il suo mestiere, sia per quanto riguarda la potenza che per quanto riguarda l’estensione della voce.
Il brano successivo, Lunch Case, torna a martellare allegramente le casse del nostro stereo, con le due chitarre che si rincorrono e si accompagnano in taglienti manifestazioni di virtuosismo sonoro, decisamente sufficienti per soddisfare la nostra voglia di heavy metal vecchio stampo. Apertura più lenta e profonda quella di Forged in Hell’s Fire: la velocità viene abbandonata temporaneamente in favore di una maggiore pienezza, un brano di più ampio respiro con un bell’assolo morbido nella parte mediana; sebbene non risulti fuori posto, si prolunga un po’ più del necessario. Com’era lecito aspettarsi, il CD prosegue senza che avvengano particolari scossoni stilistici, alternando brani ad alta intensità ad altri più lenti, con Boulton e Wiggins che incrociano le loro chitarre per produrre riff e fraseggi di ottimo livello, Pierce e Wrighton che scandiscono il tempo con perizia e Ruhnow che condisce il tutto con una buona prestazione vocale.
Di particolare rilievo Killing Rays e Condemned to Fire: nessun capovolgimento rispetto a quanto già scritto in precedenza, ovviamente, ma i due brani possono essere considerati degli esemplari perfetti per riassumere un album che rincorre il passato concludendosi, non a caso, con la reinterpretazione di Night of the Blade, storica hit proveniente dall’omonimo album del 1984. Come valutare questo omaggio a sé stessi? Ideale chiusura di un percorso artistico o ponte verso un luminoso futuro? L’originale era un ottimo brano ma questa versione attualizzata, sebbene superflua, non lo fa rimpiangere.

Con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti, Thousand Men Strong si conclude così. Tutto qui, dunque? Il quintetto inglese sa fare il suo mestiere ed ha prodotto un buon album, niente di eccezionale, intendiamoci, ma comunque di buon livello. Probabilmente condizionati dalla loro storia travagliata, i Tokyo Blade non sono riusciti ad indirizzare sufficientemente le loro energie per ottenere la consacrazione nell’Olimpo della NWOBHM; questo nuovo capitolo della loro storia conferma certamente le loro doti ma rende ormai palesi i loro limiti.
A questo punto, anche i fan più accaniti debbono rassegnarsi: è possibile che gli inglesi possano continuare a dare alla luce qualche altro album di buon livello ma i tempi d’oro sono trascorsi; ricordiamoli come una gloria passata e rendiamogli omaggio, consapevoli che il meglio è ormai alle spalle e che, con un nuovo album ogni dieci anni, probabilmente le nuove produzioni del gruppo britannico saranno postume.   

Damiano “kewlar” Fiamin

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Tracklist:  

  1. Black Abyss – 5:06
  2. Thousand Men Strong – 4:50
  3. Lunch Case – 4:22
  4. Forged in Hell’s Fire – 6:09
  5. No Conclusion – 4:01
  6. The Ambush – 3:27
  7. Killing Rays – 6:36
  8. Heading Down the Road – 3:13
  9. Condemned to Fire – 4:24
  10. Night of the Blade – 4:08

Formazione:

  • Nicolaj Ruhnow – Voce
  • Andy Boulton – Chitarra
  • John Wiggins – Chitarra
  • Steve Pierce – Batteria
  • Andy Wrighton – Basso

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